ROMA Come rendere più flessibili le attuali regole previdenziali, fissate dalla riforma Monti-Fornero, senza rinunciare al fondamentale contributo che quella legge dà alla sostenibilità dei conti pubblici soprattutto nel lungo periodo. Il compito che si è dato il governo in vista della prossima legge di Stabilità non è tra i più semplici; ma nonostante il tema pensioni sia quasi per definizione ultrasensibile, la strategia per portarlo a termine è in buona parte già definita, anche se i dettagli della proposta sono ancora da chiarire e soppesare. Il ritocco alle regole - che non saranno comunque stravolte - verrà finanziato in due modi. Da una parte l’equilibrio delle finanze pubbliche sarà assicurato dal fatto che coloro che scelgono di lasciare il lavoro qualche anno prima dovranno accettare per gli anni futuri un assegno un po’ più basso (di quanto più basso è proprio uno dei cruciali aspetti da definire): dunque si percepirà un trattamento meno generoso ma per un numero maggiore di anni. Siccome però questo effetto diventerà apprezzabile nel corso del tempo, ci sarà bisogno - nel breve periodo - di compensare il prevedibile aumento delle uscite con ulteriori risparmi immediati. Altrimenti il nuovo assetto potrebbe risultare sbilanciato anche agli occhi dell’Unione europea. E qui scatta l’altra fonte di finanziamento, ovvero una redistribuzione delle risorse all’interno del sistema: in altre parole l’accesso alla pensione di un certo numero di lavoratori dovrà essere pagato da altri pensionati. Questo è uno dei punti più delicati, perché si parla ormai da mesi della possibilità di ricalcolare le pensioni di coloro che hanno lasciato il lavoro potendo fare affidamento sul più generoso sistema di calcolo retributivo, e questa ipotesi è stata resa meno astratta dagli effettivi esercizi compiuti dall’Inps in riferimento a varie categorie, dai dirigenti agli appartenenti alle forze dell’ordine.
AMBITO DELIMITATOUn intervento di questo tipo è tra quelli allo studio dell’esecutivo, ma dentro un ambito ben delimitato. Non ci sarà un ricalcolo generalizzato delle prestazioni previdenziali, ma potrà essere chiesto un contributo ad una piccola minoranza di pensionati, quelli che hanno avuto accesso alle pensioni con assegni decisamente alti (la soglia sarà fissata ben più su dei 2-3000 euro mensili di cui si è parlato) ma anche non giustificati da adeguati contributi previdenziali nel corso della carriera. Insomma si guarda ancora una volta alle cosiddette pensioni d’oro (a cui per la verità viene già applicato al di sopra dei 90 mila euro annui un incisivo contributo di solidarietà) ma le misure dovranno essere molto mirate.
La volontà di ammorbidire i requisiti per la pensione è stata confermata ieri, prima in un convegno della Uil poi in commissione Lavoro della Camera, dal ministro Poletti. Che ha collegato questo intervento con l’idea di favorire una staffetta generazionale, ovvero dare spazio alle aziende per l’essunzione di giovani al posto di coloro che lasciano il lavoro. In favore della flessibilità è anche la Uil, che però non accetta che questa sia compensata da penalizzazioni economiche. Il sindacato guidato da Carmelo Barbagallo annuncia anche una possibile azione giudiziaria contro il governo, nella forma della class action, sul tema della mancata perequazione delle pensioni, dopo la sentenza della Consulta.