CHIETI In due ore il centrosinistra stringe il patto con Bruno Di Paolo. Annuncia: «Ora vinciamo noi». E mette sulla graticola la Chiesa. Andiamo per ordine: quattro poltrone e la presidenza del consiglio sono il prezzo che Luigi Febo dovrà pagare, in caso di vittoria, al leader di Giustizia Sociale che gli garantisce per il 14 giugno almeno la metà del suo pacchetto di voti, quindi oltre 1.200 preferenze. Che però non bastano per colmare i 6,5 punti di distacco da Umberto Di Primio. Ma il resto, Febo, lo cerca in altre parrocchie, prima fra tutte Sel, quindi L’Altra Chieti, anche se dovrà attendere che le acque si calmino. Poi c’è anche il fattore fisiologico dell’astensionismo da ballottaggio che, dice un luogo comune, colpisce più a destra che a sinistra. Sta di fatto che da ieri la bilancia si è rimessa a pari, ma a quale prezzo? Di Paolo si schermisce: «Febo è venuto da me», racconta, «e in due ore abbiamo solo parlato dei dieci punti del mio programma che lui inserirà nel suo». Ma alla domanda: cosa ha chiesto in cambio Giustizia Sociale? Il suo leader si trincera dietro un laconico: «Domani (cioè oggi, ndr) alle 16 incontrerò Febo per la seconda volta e lui mi dirà se accetta i miei dieci punti. Poi riunirò i miei candidati per comunicare la decisione. Sabato terrò una conferenza stampa». Che si traduce in: l’apparentamento è già deciso, oggi avrà la benedizione di Luciano D’Alfonso e sabato sarà formalizzato all’ufficio elettorale del Comune. Rata fiat, i patti sono stretti. A pagarne il prezzo saranno, sempre in caso di vittoria di Febo, la civica Chieti per Chieti che perderà un seggio e il pentastellato Argenio che resterà da solo in consiglio. Mentre Di Paolo, che ben si guarda dal chiedere posti in giunta o da vice di Febo vista l’esperienza con Di Primio che lo ha messo alla porta dalla sera alla mattina, punta al colpo grosso mettendo a frutto il suo consistente pacchetto di voti, calmando i suoi che gli rinfacciano di aver assicurato il posto in consiglio solo al nipote Michele, e acquistando con rilevante potere politico in seno alla maggioranza. Ma Parigi val bene una messa, o un sacrificio, pensa Febo che ieri, dopo il patto, non ha esitato ad annunciare la vittoria. Sarà che Vico ha (quasi) sempre ragione, a tutti è tornata in mente quell’elezione di qualche anno fa quando Mauro Febbo, in vantaggio su Tommaso Coletti, snobbò l’alleanza con la Nenna D’Antonio che si apparentò con il democristiano di Ortona e lo fece vincere. Arriviamo all’ultimo capitolo di una giornata campale per il ballottaggio. Che cosa è accaduto alla sezione 35 di Brecciarola? La Chiesa non è neutrale? Lì, in quella scuola materna, l’Udc di Buracchio ha fatto il pieno: 121 preferenze, con Antonio Viola supergettonato. Nel regno di Ivo D’Agostino, l’ex assessore arrestato e condannato per lo scandalo degli alloggio popolari in cambio di sesso, la scelta politica è chiara. A tal punto che ieri, durante una riunione operativa di consiglieri uscenti del Pd, la Chiesa è finita sulla graticola con tanto di domanda all’arcivescovo Bruno Forte. Per chi hanno votato suor Vera D’Agostino e le sue sorelle? Ma si sa il voto è segreto come i peccati che si dicono in confessionale.