ROMA Pochi, maledetti e quasi subito, ovvero il prossimo primo agosto: ma alla fine i rimborsi destinati dal governo ai pensionati, in adempimento della sentenza della Consulta, potrebbero risultare anche un po’ più bassi di quelli annunciati. Ed un certo taglio, rispetto alle cifre fin qui circolate, si prospetterebbe anche per i trattamenti pensionistici definitivi, che si porterebbero dietro per gli anni a venire un adeguamento all’inflazione ancora più parziale.
Il decreto 65, che all’articolo 1 contiene le norme per ripristinare una quota della cosiddetta perequazione (totalmente cancellata dal decreto Monti nel 2011 per gli assegni superiori a 1405 euro lordi mensili) è all’esame della commissione Lavoro della Camera: domani sono in programma una serie di audizioni informali con le parti sociali e poi inizierà l’esame del testo. Il relatore, la deputata del Pd Anna Giacobbe, ha già chiesto al governo di «fornire una conferma in ordine al concreto funzionamento dei meccanismi di rivalutazione, eventualmente anche attraverso la messa a disposizione di elementi di maggior dettaglio».
Proprio questa conferma, sotto forma di un aggiustamento del testo pubblicato in Gazzetta ufficiale, è decisiva per l’effettiva quantificazione dei benefici ai pensionati, che sarebbero appunto minori se prevalesse un’interpretazione meno favorevole. I conti li ha già fatti la Fondazione Studi dei consulenti del lavoro: gli importi netti dei rimborsi risulterebbero più bassi di oltre il 20 per cento rispetto a quelli di cui hanno parlato sia il presidente del Consiglio sia lo stesso ministro Padoan in Parlamento. Così una pensione da 1.700 euro lordi mensili (ai valori del 2011) il primo agosto avrebbe un rimborso arretrato netto di 575 euro, invece di 750, una da 2.200 di 361 invece che 460, mentre chi aveva un assegno da 2.700 euro otterrebbe 216 euro e non 280.
GLI ONERI SUL BILANCIO Queste differenze dipendono dal meccanismo di rivalutazione che è molto complicato - proprio perché disegnato per ridurre al minimo gli oneri sul bilancio pubblico - e assolutamente non univoco. L’adeguamento all’inflazione relativa agli anni 2012 e 2013 viene riconosciuta in misura del 40 per cento di quella che si è effettivamente registrata (2,7 per cento il primo anno e 3 il secondo) per le pensioni tra tre e quattro volte il minimo Inps, del 20 per cento tra quattro e cinque volte e del 10 tra cinque e sei.
Le somme risultanti vanno a far parte degli arretrati, ma non si “trascinano” per gli anni successivi. Anzi, il testo del provvedimento, che interviene sul decreto “salva Italia” del 2011 modificando il comma 25 dell’articolo 24 e aggiungendo un comma 25 bis, prevede che l’inflazione 2012-13 sia applicata per gli anni successivi in misura ulteriormente ridotta: 20 per cento delle percentuali precedenti, ovvero 8, 4 e 2 per cento. Dal 2016 in poi l’abbattimento sarebbe al 50 per cento, sempre sulle stesse percentuali. Il punto è: come si intreccia questa norma con quella contenuta nella legge di Stabilità del governo Letta (147 del 2013), che fissava con una diversa scaletta l’adeguamento all’inflazione degli anni 2014, 2015 e 2016? I consulenti del lavoro ritengono che i due meccanismi operino parallelamente e che la rivalutazione degli arretrati prevista dal comma 25 bis scatti solo dal 2016: per i due anni precedenti gli importi dovuti sarebbero quindi minimi.
IL NODO DEL FISCO Da parte sua la relatrice Giacobbe pone il problema auspicando che le somme del primo biennio entrino nella base di calcolo per l’applicazione della legge 147 e chiedendo al governo di «riconoscere carattere di stabilità alla maggior quota possibile dell'indicizzazione riconosciuta negli anni 2012 e 2013». Un altro nodo da chiarire riguarda la tassazione: alle somme erogate a titolo di rimborso dovrebbe essere applicata l’aliquota prevista per le pensioni arretrate, pari all’aliquota media dei due anni precedenti. Dunque un trattamento più favorevole di quello che risulterebbe dall’applicazione dell’aliquota marginale Irpef. Anche su questo punto però potrebbe servire una precisazione visto che le somme relative al 2015 non sarebbero di per sé arretrate.