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Pescara, 24/11/2024
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Data: 07/06/2015
Testata giornalistica: Il Messaggero
Squinzi: ora ripartire, il jobs act non basta. Il presidente di Confindustria promuove il governo. Disoccupati e sfiduciati, a casa in 7 milioni

SANTA MARGHERITA LIGURE Confindustria dà la pagella al governo: «Abbastanza bene, ma abbiamo un disperato bisogno di ripartire». Come a dire che la ripresa economica per ora è poco più di un soffio, «una cosa da percentuali simili a un prefisso telefonico», mentre bisogna tornare ai livelli di dieci anni fa, «al più due per cento annuo». Pensieri e parole di Giorgio Squinzi che davanti ai giovani imprenditori si accoda all’ottimismo renziano («dobbiamo necessariamente pensare positivo»), ma dice che bisogna fare di più: «Il jobs act è una buona cosa, ma non basta».
BICCHIERE MEZZO PIENO
In platea, ad ascoltarlo, c’è pure Maria Elena Boschi a nome del governo. Ha parlato prima di Squinzi, e per lei il bicchiere è mezzo pieno. «Non lo diciamo noi, lo dicono i dati sull’occupazione, sui consumi, sulle esportazioni. Dopo molti anni stiamo tornando a crescere». Certo, ammette la ministra, sono solo i primi passi, «ma abbiamo ancora tre anni di lavoro davanti, alla fine verremo giudicati su quello che saremo riusciti a fare». E l’aria è di chi si sente sicuro che il giudizio sarà positivo. Ancora aleggia nell’aria il fastidio per lo sgarbo di Renzi che dieci giorni fa non è andato all’assemblea generale di Confindustria preferendo incontrarsi con Marchionne alla Fiat di Melfi. Il presidente Squinzi fa buon viso a cattivo gioco: «Non sono geloso di Marchionne, non ho complessi, anzi su molte cose abbiamo le stesse vedute, siamo in sintonia. E poi è capitato altre volte che i presidenti del consiglio non venissero alla nostra assemblea». Tuttavia la frecciatina alla Fiat (che sta fuori da Confindustria) arriva: «Noi rappresentiamo 150 mila imprese che pagano tutte le loro tasse in Italia». Poi aggiunge: «Oggi la Fiat non uscirebbe da Confindustria». Altre punture sono destinate a Salvini: «L’idea di uscire dall’Euro è una sciocchezza, il nostro Pil arretrerebbe del 30 per cento». Mentre nei confronti del premier, tutto sommato, ci sono più lusinghe che critiche. Sull’Europa, per esempio: «Nei confronti di Bruxelles dal nostro primo ministro ho visto qualche spallata nella direzione giusta». E anche sulla riforma del lavoro: «Il jobs act è un provvedimento che condividiamo, e da imprenditore sono costretto a condividere l’ottimismo di Renzi».
PREFISSO TELEFONICO
Però c’è il problema della crescita. Che il governo definisce reale e concreta, e che invece per Squinzi è ancora irrilevante: «Non può essere un singolo provvedimento come il jobs act a far ripartire l'economia». Dice che bisogna far ripartire il mercato, in particolare il mercato interno: «Le imprese che esportano stanno tenendo con le unghie accettando di abbassare i i margini, ma non si può guardare al futuro con una ripresa da prefisso telefonico». Bisogna aspettare i tempi lunghi per capire se i dati positivi di questi mesi sono solo un’illusione. «Se questo Paese non ritrova la crescita avrà problemi seri in termini di welfare, come per la Sanità, e di sostenibilità del livello di vita a cui ci siamo abituati». In una saletta dell’hotel Miramare - che ospita come ogni anno il convegno dei giovani industriali - Squinzi si incontra con la segretaria della Cisl, Annamaria Furlan, e poi con Maria Elena Boschi. Alla ministra ripete le sue preoccupazioni per le possibili conseguenze della legge sulla class action approvata calla Camera: «Ma il governo» dice il presidente di Confindustria «ci ha assicurato che al Senato verranno fatte delle modifiche, e noi per ora ci fidiamo».

Disoccupati e sfiduciati, a casa in 7 milioni. Il relatore alla Camera: il governo spieghi quanta parte dell’indicizzazione ripristinata resta negli anni successivi. Decreto sulle rivalutazioni: il meccanismo è poco chiaro gli importi potrebbero risultare minori di quelli annunciati.

ROMA La crescita, anche se lieve, dell’occupazione è confermata nel primo trimestre 2015. Ma sono le stesse statistiche dell’Istat a dire che la strada da percorrere è ancora lunga per agganciare l’Europa e tornare ai livelli pre crisi: ci sono infatti ancora quasi sette milioni di persone disponibili a lavorare (ai 3,3 milioni di disoccupati vanno aggiunti 3,5 milioni di persone che pur essendo disponibili all’impiego non cercano attivamente e quindi rientrano tra gli inattivi) ma senza occupazione.
Certo, sulla necessità di investire sul lavoro come primo obiettivo della politica si è espresso ancora ieri il premier, Matteo Renzi definendo il reddito di cittadinanza «incostituzionale» e «la cosa meno di sinistra che esista. Mentre compito della politica», ha detto, «è creare le condizioni perche ci sia lavoro per tutti e non assistenzialismo». Ma anche gli ultimi numeri dicono che la strada è in salita. La prossima settimana il Consiglio dei ministri dovrebbe dare il via libera agli ultimi decreti attuativi del Jobs act. Ma l’Italia ha ancora una disoccupazione superiore alla media Ue (nel 2014 12,7% contro il 10,2% dell’Ue a 28 e l'11,6% dell’area euro). E soprattutto ha un tasso di attività (occupazione più disoccupazione) di quasi 10 punti sotto la media Ue.
IN CODA ALL’EUROPA
Tra i 15 e i 64 anni nel 2014 solo il 63,9% delle persone era nel mercato del lavoro, il livello più basso in Europa (72,3% l'Ue a 28). Colpa soprattutto del basso tasso di attività femminile (54,4%), oltre 12 punti inferiore alla media Ue e di circa 25 punti rispetto alla Svezia (79,3%). Inoltre oltre tre milioni su sette di coloro che sono senza lavoro pur essendo disponibili a lavorare, sono persone con meno di 35 anni. Una parte consistente sono scoraggiati, ovvero persone che non cercano attivamente impiego perchè ritengono di non poterlo trovare.
Non basta. Se si guarda ai giovani che lavorano entro tre anni dalla laurea l'Italia è la peggiore dopo la Grecia con appena il 49,6% dei laureati tra i 20 e i 34 anni che lavora a meno di tre anni dalla laurea. Una percentuale di quasi 30 punti inferiore alla media Ue a 28 (78,3%) e in netto peggioramento rispetto al 2008 (quasi 18 punti). Nello stesso periodo la media dell’Ue ha perso meno di sette punti. Mentre la Germania ha agganciato il 92,4%, dall’89,6% del 2008. Solo nell’ultimo anno in Italia si sono persi oltre 5 punti (dal 54,7%) mentre la Francia si manteneva vicina all'80% (dal 79,5% al 78,2%) e il Regno Unito viaggiava sull'83% (dall’84,7%). Le percentuali sono ancora più drammatiche per chi ha un lavoro entro tre anni dal termine del periodo formativo post-diploma: tra i 20 e i 34 anni l’Italia si piazza all’ultimo posto con appena il 36,9% di occupati, peggio della Grecia (38,4%). Dal 2008 l’Italia ha perso oltre 20 punti, la Germania è cresciuta dall’81,9% all’87,5%. È un altro mondo.

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