ROMA Ad un istituto di ricerca specializzato sarebbero bastate poco più di 8 ore. Invece sono passsati 38 giorni dall’incendio che ha distrutto parte del Terminal 3 di Fiumicino e manca ancora, paradossalmente, il verdetto finale sulla situazione ambientale. Non esiste, sembra davvero incredibile, una relazione tecnica ufficiale che dica a chiare lettere se ci sono rischi o no per chi lavora o transita nell’aeroporto. E senza la certificazione, senza il timbro della Usl e della altre autorità sanitarie collegate, è di fatto impossibile sbloccare l’impasse che costringe i passeggeri del Leonardo da Vinci ad un girone infernale.
CORSA AD OSTACOLI
A parlare, una volta per tutte, deve essere la Asl Roma D di Ostia, competente per territorio, che subito dopo il rogo aveva dato il disco verde, tant’è che, d’accordo con l’Enac, l’operatività dello scalo era tornata al cento per cento. Poi è partito una sorta di scaricabarile, un balletto infinito, un rimbalzo di responsabilità che è all’origine del caos di questi giorni a Fiumicino, tra voli cancellati ed estenuanti attese dei viaggiatori. Una vera odissea di cui al momento non si conosce la fine, proprio mentre entra più nel vivo la stagione estiva.
Eppure la drammatica emergenza subito dopo il rogo era stata gestita al meglio. Dopo 9 giorni dall’incendio che nella notte del 6 maggio aveva devastato il Terminal 3, i tecnici di Adr avevano fatto ripartire l’aeroporto, convogliando i flussi nell’ala non coinvolta, moltiplicando gli sforzi per facilitare i controlli dei passaporti e l’imbarco delle valige. Sia l’Enac, l’autorità di controllo, che la Usl avevano dato il benestare, sottolineando come non ci fossero rischi di sorta. Poi, a distanza di una settimana, la Procura di Civitavecchia è intervenuta, sequestrando il molo D in via precauzionale, perchè non era stata ancora prodotta una certificazione completa sulla salubrità dell’aria, certificazione che solo la Usl di Ostia, a quanto sembra, può emettere.
PORTA STRETTA
Va detto subito che il procuratore Gianfranco Amendola ha escluso che il provvedimento di sequestro sia legato alla presunta presenza di diossina, ma che ha solo un fine precauzionale. Anche perchè dalle analisi effettuate dal Cnr di Viterbo, dall’Arpa e dall’Hsi consulting, commissionate tra l’altro da Adr, dalla stessa Alitalia e dagli handler, è emerso in maniera chiara che i parametri dell’aria sono ben entro le soglie di legge e che quindi non ci sono pericoli di sorta. Tutto negli standard quindi.
Nonostante ciò il rimpallo di responsabilità è continuato. Eppure dal ministero dei Trasporti, guidato da Graziano Delrio, e da quello della Salute, erano arrivati segnali precisi a fare presto e bene. Ovviamente nel rispetto assoluto delle prerogative della magistratura e delle leggi. Per fugare ogni dubbio e consentire al più importante scalo del Paese di potersi rialzare. Tra l’altro, tra pochi mesi, Fiumicino dovrà affrontare la sfida del Giubileo e con il sequestro del Terminal è impossibile programmare non solo il futuro, ma anche una diversa configurazione dell’hub per far fronte alle sacrosante richieste dei passeggeri. L’obiettivo del governo, per ora ancora da centrare, era quello di ottenere da Cnr e Istituto superiore di sanità, analisi affidabili e, di consegenza, un dissequestro del molo D. Si aspetta ora il verdetto della Asl, l’unica autorità sanitaria pubblica riconosciuta dalla Procura, e chi gestisce l’aeroporto non può che sperare in una decisione rapida. Anche perchè un aeroporto che viaggia al 40 per cento del suo potenziale non può garantire qualità e i consueti standard dei servizi. Insomma, in mancanza di una decisione, in un senso o nell’altro, c’è il rischio concreto di un avvitamento. In una spirale infernale di veti incrociati e scaricabrile in grado di acuire l’emergenza, con nuovi voli cancellati, ritardi e passeggeri esasperati. Tanto più che Fiumicino è il biglietto da visita della Capitale e la porta d’ingresso di un Paese che non ha certo bisogno di restare sotto i riflettori per una vicenda kafkiana come questa.