CHIETI Luigi Febo siederà dietro ai banchi dell’opposizione. Eppure per lui la campagna elettorale era cominciata in discesa grazie al centrodestra e, diciamolo pure, alla magistratura. Era settembre quando Forza Italia spiana un’autostrada al centrosinistra mettendo il veto sulla ricandidatura di Umberto Di Primio. E il centrosinistra che cosa fa? Prima di partire a spron battuto verso le primarie si concede due lussi pagati, con il senno di poi a carissimo prezzo. Il primo lusso, che chiameremo sicumera, è stato quello di non pescare nel vasto lago della società civile un volto nuovo da lanciare nella corsa a sindaco. I candidati li cerca invece al proprio interno. Il secondo lusso è imperdonabile. Come si fa a trattare da zavorra la sinistra e altri alleati che, messi insieme, fanno d’acchito il 5% dei voti? Recuperare L’Altra Chieti in zona Cesarini è diventata una impresa difficile. Anzi impossibile. Qualcuno, sempre con quel senno di poi, si domanda, e domanda ai segretari di partito Chiara Zappalorto e Filippo Di Giovanni, ieri notte stretti attorno al capezzale dell’agnello sacrificale (come lo si può chiamare oggi), che senso ha portare a Chieti Michele Emiliano che, nel laboratorio Puglia, ha stravinto usando non le forbici ma il collante? La campagna, si diceva all’inizio, cominciata in discesa ha attraversato poi il terreno minato della primarie in cui a scontrarsi non erano solo Febo e Marco Marino, ma le due grandi anime del Pd teatino. In campo, dopo quel braccio di ferro, di anime ne è rimasta solo una, la dalfonsiana che però è caduta nella trappola del sindaco autartico Di Primio che, nonostante l’avviso di garanzia per un’inchiesta che è tutt’altro che finita, ha cavalcato la tigre del campanilismo e della teatinità. Prima contro i migranti, quindi contro il trasferimento a Pescara dell’ospedale di Chieti. Ed ha neutralizzato l’effetto big Luciano che altrove, leggi Teramo e soprattutto Pescara, ha sempre avuto grandi benefici per il centrosinistra, una sorta di effetto Viagra. Arriviamo così alle ultime due settimane di campagna diventate una ricerca del tempo perduto. Ma Proust non c’entra. Né Di Paolo, oppure i volantini giustizialisti o gli intempestivi appelli alla sinistra, diciamo ora, c’entrano con la politica vincente. Ma ci sono cinque anni di tempo per rinnovarsi.