ROMA La bomba telecontrollo è scoppiata. Già in sede di delega il dibattito era stato molto acceso, poi il detonatore sembrava essere stato disattivato con una formulazione “meno invasiva”. Ma il decreto attuativo riaccende le polemiche: la norma infatti esclude la necessità di un accordo sindacale o di un’autorizzazione ministeriale «per l'assegnazione ai lavoratori degli strumenti utilizzati per rendere la prestazione lavorativa» anche se attraverso questi stessi strumenti «derivi la possibilità di un controllo a distanza del lavoratore». Il rischio è che l’azienda possa scandagliare tutti i dati contenuti nei telefonini, tablet e pc aziendali, dall’elenco delle telefonate effettuate a quello dei siti web visitati. L’operazione in teoria è consentita «ad ogni fine connesso al rapporto di lavoro». Due soli obblighi previsti: «al lavoratore deve essere data adeguata informazione circa le modalità d’uso degli strumenti e l’effettuazione dei controlli»; deve essere garantito «il rispetto del Codice privacy».
A spiegare il senso della norma è la relazione illustrativa che accompagna il decreto sulla semplificazione delle procedure, varato la settimana scorsa dal governo nell’ambito del pacchetto Jobs act, attualmente alle Camere per il necessario parere consultivo.
LO STATUTO
La norma, che in sostanza abolisce l’articolo 4 dello Statuto dei lavoratori, ha fatto andare su tutte le furie i sindacati. «Siamo al colpo di mano» dice Serena Sorrentino, della segreteria nazionale Cgil. Che annuncia: «Daremo battaglia in Parlamento e verificheremo con il Garante della privacy se ciò si può consentire». Contraria anche la Cisl. «La norma non va bene e deve essere cambiata. Questi aspetti così delicati per la vita di un lavoratore e di una lavoratrice, ma anche per l’azienda, si devono gestire attraverso la contrattazione sui luoghi di lavoro. Ci faremo ascoltare anche nelle commissioni parlamentari» dice il leader Cisl, Annamaria Furlan. Sulle barricate anche la Uil: «Agiremo per chiedere il cambiamento di questo provvedimento» dichiara Guglielmo Loy, segretario confederale Uil. Sottolineando: «Il sindacato prende atto che la modernità e le nuove tecnologie possano determinare cambiamenti nelle relazioni tra i soggetti. Non si capisce, però, perché, ancora una volta, questa deregolamentazione debba avvenire a vantaggio della sola impresa».
LE TELECAMERE
Le novità, contenute all’art.23 del decreto, riguardano sia i dispositivi tecnologici (computer, tablet e telefonini in dotazione ai dipendenti) che «gli strumenti per misurare accessi e presenze», come i badge. Per quanto riguarda le telecamere, invece, resta la situazione attuale, ovvero occorre l’accordo sindacale oppure l’autorizzazione ministeriale (per le imprese con più unità dislocate in una o più regioni). Il loro utilizzo, inoltre, deve essere legato «esclusivamente per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale».
Non solo i sindacati. Anche tra le forze politiche c’è sconcerto. Giorgio Airaudo di Sel definisce la nuova norma sul controllo a distanza una «mostruosità». Cesare Damiano, presidente della Commissione Lavoro della Camera e membro della minoranza Pd, ricorda che «la delega prevede un controllo sugli impianti e non sulle persone» e quindi sarebbe bene evitare di «far rientrare dalla finestra quello che è uscito dalla porta». Sul fronte opposto c’è il presidente dell’omologa commissione al Senato, Maurizio Sacconi, che bolla come «puro antiquariato» chi «si preoccupa degli impianti di video sorveglianza del 1970».