ROMA «Marino non è in grado di proseguire». Lo dice così, nel suo linguaggio che lascia pochi spazi alle ambiguità, il premier. Lo dice ai fedelissimi che riunisce prima delle cose «veramente importanti», ossia il vertice sulla Grecia di ieri e quello di giovedì sull’immigrazione. La lascia cadere in questo modo - il suo modo - e poi con voce pacata ma ferma aggiunge: «Su Roma ci saranno delle sorprese imminenti».
Per farla breve, il preavviso di sfratto a Ignazio Marino è stato dato. Adesso tocca al sindaco raccoglierlo. «E delle truppe cammellate che si è portato dietro per farsi applaudire a me non importa niente, ma proprio niente», spiega Renzi ai suoi. E aggiunge. «Notoriamente per essere un bravo sindaco bisogna essere onesto, qualità che Ignazio, a cui voglio molto bene, ha senz’altro. Quello che deve dimostrare e che finora non ha dimostrato è di saper governare una città. Io lo aspetto a questa prova. Lui mi ha sfidato alla festa dell’Unità, vedremo chi la vince».
È un avviso che chiunque, tranne che nel caso di Marino, indurrebbe un sindaco non amato dal partito e dai romani (stando almeno ai sondaggi che arrivano e preoccupano il Pd ) a lasciar perdere. Così non è finora. Ma questa è una delle tante partite che il premier non vuole perdere.
Con il commissario del Pd di Roma, dopo uno scontro pur aspro, si sono lasciati con una promessa che per l’inquilino di Palazzo Chigi è come un parola data. Cioè incancellabile: «Cerca di farlo andare via tu con le buone».
Roma, l’Italia, il Pd in genere, non si può permettere di cadere in mezzo al guado, spiega un renziano di stretta osservanza, con un Marino che si fa applaudire da «truppe cammellate» e un «elettorato libero» che si sparpaglia e vota, per disperazione, «un grillino come Di Battista» o una coalizione di centrodestra che si cela dietro una lista civica con Marchini ».
Insomma «è una situazione a cui dobbiamo porre rimedio». Più importante della «riforma della scuola», dove ormai «la fiducia è sicura», più importante ddl Boschi sul bicameralismo «su cui stiamo lavorando con le minoranze ma anche con gli altri per trovare un testo il più condiviso possibile». Non è «una questione di principio» per il premier: «Stiamo accelerando su tutto, perché siamo tornati alle origini, a quello per cui la gente ci votava».
Marino però resiste. Ma di fronte a sé ha una ruspa. Di quelle vere. Non di quelle evocate nei comizi di Matteo Salvini. Renzi è determinato, sicuro e, soprattutto, ha sempre in mente lo stesso obiettivo: «Io ho scommesso tutta la mia esperienza politica sul tema del coraggio, è ovvio che trovo questo momento molto difficile, ma è altrettanto ovvio che lo trovi molto esaltante». Ora a farne le spese sarà Marino. E non solo perché i report che arrivano al Nazareno sono tutti negativi. Ma anche perché il sindaco ha cercato di sganciarsi da quel Pd che gli ha consentito di arrivare in Campidoglio. Prima bussando alla porta grillina, che ha trovato inesorabilmente sprangata. E ora facendo «toc toc» a quella di Sel, che dopo le intercettazioni che riguardano il vice sindaco Luigi Nieri, si trova in grande imbarazzo.
Da quell’orecchio Renzi non ci vuole proprio sentire: «Nessun accomodamento, niente che sembri che noi abbiamo paura degli elettori». Per farla breve, Marino dovrà passare per la cruna dell’ago renziano: «A un certo punto, bisogna avere il coraggio di presentarsi a viso aperto agli elettori».
Peccato che non sarà Marino a fare questa esperienza. All’attuale sindaco il premier lascia solo due strade: o si commissaria il Comune, non per mafia, ma per corruzione o si dimette. Ed è chiaro che è la seconda soluzione quella che viene indicata a Marino come la via di scampo. Per consentire al premier di accorpare l’elezione di Roma con le altre che si terranno la primavera prossima a Milano, Torino, Bologna e Napoli. E il candidato, è ovvio, non sarà Marino.