L’AQUILA La seggiovia non va fatta? E allora Assergi chiede di uscire dal Parco nazionale del Gran Sasso. Dopo la relazione tecnica consegnata dall’Ente alla Regione sul progetto per la sostituzione della seggiovia delle Fontari, che di fatto rappresenta un ostacolo all’avvio dei lavori, gli Usi civici, i maestri di sci, gli operatori turistici, le guide alpine e tutti gli imprenditori delle zone ai piedi del Gran Sasso dichiarano guerra «alla filosofia del no assoluto» dell’ente Parco. I lavori per realizzare il progetto di sostituzione della vecchia e obsoleta seggiovia sarebbero già dovuti partire per portare un reale beneficio al territorio in termini di maggiore movimento di turisti di montagna. Ma il parere tecnico del Parco è stato negativo. Lo scontro adesso si gioca sul fronte referendario. Almeno così “promettono” ad Assergi. A farsi portavoce del malumore è lo storico maestro di sci, ex consigliere comunale e oggi referente dell’associazione di imprenditori «Il borgo del Gran Sasso», Luigi Faccia. Due giorni fa una prima riunione con l’amministrazione dei beni separati. «Il 5 luglio un nuovo appuntamento», annuncia, «in cui oltre a parlare delle problematiche degli Usi civici, si farà il punto con il legale dell’amministrazione dei Beni separati per vedere come intraprendere questa strada: quella cioè di chiedere un referendum per uscire dai confini del Parco». Un’area verde che «non guarda allo sviluppo turistico del suo territorio, ma si oppone a qualsiasi cambiamento, anche positivo», spiega Faccia. «Nella relazione tecnica si fa un’elencazione di norme, divieti, uccellini e insalate che non si possono toccare», aggiunge, «noi la rispediamo al mittente e a questo punto anche noi siamo pronti ad alzare un muro. Intraprenderemo tutte le azioni necessarie per la promozione di un referendum». Intanto i tempi per l’avvio dei lavori si fanno sempre più stretti (mancano ancora i pareri Via della Regione e Vinca del Comune) e mentre qualche professionista già pensa di andare a cercare lavoro altrove, nelle località alpine ad esempio, l’unica soluzione verso cui sembra che si stia andando è quella dell’ennesima manutenzione straordinaria del Comune per non fare saltare la prossima stagione invernale. Un modo per tamponare l’emergenza, spendendo 300mila euro, senza risolvere il problema.