Evitato il buco di bilancio di 35 miliardi paventato dall’avvocatura dello Stato
ROMA Incostituzionale ma non retroattivo. La Corte costituzionale salva i conti dello Stato e il governo con la sentenza che giudica illegittimo il blocco dei contratti nel pubblico impiego gli stipendi statali in vigore dal 2010. Lo stop imposto dal quarto governo Berlusconi agli stipendi di quasi tre milioni e mezzo di lavoratori, poi reiterato dai governi successivi Monti, Letta e Renzi, è infatti illegittimo non per il passato ma con «decorrenza dalla pubblicazione della sentenza», precisano i togati. I giudici hanno quindi in qualche modo accolto la memoria dell’Avvocatura dello Stato che aveva reso noto che il peso di un eventuale sblocco per il periodo 2010-2015 sarebbe costato alle casse dello Stato 35 miliardi di euro, superiore al 2% del prodotto interno lordo. Nell’udienza di martedì l’avvocato dello Stato, Vincenzo Rago, pur sostenendo l’assoluta legittimità delle norme sul blocco della contrattazione aveva chiesto che la Corte, anche se si fosse pronunciata per l’illegittimità del provvedimento, tenesse conto di quanto previsto dall’articolo 81 della Costituzione nella nuova formulazione, relativo all’obbligo del pareggio di bilancio. Cosa che evidentemente i giudici hanno fatto. Il risarcimento di 35 miliardi sarebbe stata una bomba a orologeria che avrebbe rischiato di far saltare i conti pubblici, con effetti dirompenti sul governo di Matteo Renzi. E il che avrebbe di nuovo scatenato polemiche a non finire sulla Consulta, già finita all’indice per avere qualche settimana fa emesso la sentenza sul mancato adeguamento delle pensioni, facendo svanire il «tesoretto» che il governo immaginava di avere in cassaforte. Malgrado lo «scampato» pericolo il governo ha appreso con irritazione la sentenza della Corte. E tra i renziani c’è chi si è spinto oltre. «A questo punto tanto varrebbe mandare i presidente della Corte costituzionale a trattare i conti italiani a Bruxelles», dice un deputato Pd esperto di economia. Nessun commento arriva da Pier Carlo Padoan. «Aspettiamo di leggere il testo con attenzione», dice il titolare dell’Economia, ieri a Bruxelles. A palazzo Chigi, mentre arrivano le richieste dei sindacati di riaprire subito la contrattazione, intanto si comincia a fare i conti con l’impatto che la sentenza avrà sul bilancio statale. Nel 2015, nel peggiore dei casi, il governo dovrà sborsare fino a 600 milioni di euro per gli aumento dovuti alla mancanza contrattuale. E a regime, dopo la firma del nuovo contratto, le stime fatte dal Pd parlano di 3 miliardi l’anno. Fonti sindacali però alzano la cifra, arrivando a immaginare un costo di 5 miliardi l’anno a regime. Fonti del governo inoltre ricordano che il blocco dei contratti sarebbe scaduto in ogni caso alla fine di questo anno. Al di là dei numeri la sentenza dà forza nuova ai sindacati che ovviamente ora chiedono di riaprire i tavoli della contrattazione. E rischia di aprire nuove falle nella maggioranza. Maurizio Sacconi, nel 2010 ministro del Lavoro del governo Berlusconi, ora presidente della commissione Lavoro del Senato, parte subito alla carica. Se con la sentenza si impone la riapertura del confronto con le organizzazioni sindacali «è ragionevole immaginare un modello contrattuale quanto più decentrato, insomma salari e produttività devono precedere insieme, magari con la partecipazione dei lavoratori a una quota parte dei dividendi della spending review», dice. Del tutto opposta la reazione della minoranza del Pd che appoggia le richieste dei sindacati. Molto soddisfatto anche il M5S. «E’ fondamentale far ripartire i contratti dei lavorati della Pubblica amministrazione, per dare un respiro a loro ma anche per dare un contributo all’economia reale del Paese, facendo ripartire i consumi» scrivo i parlamentari grillini della commissione Lavoro, sottolineando che il governo ha fatto «terrorismo» nei confronti della Corte parlando di 35 miliardi di euro per gli adeguamenti che invece sarebbe costati in tutto 12 miliardi