ROMA La parola chiave è sempre “contributivo”. Ruotano intorno a questo sistema di calcolo delle pensioni le proposte che oggi il presidente dell’Inps Boeri dovrebbe fare in occasione della presentazione del rapporto annuale dell’istituto. Proposte che già nelle settimane scorse erano state preannunciate come contributo tecnico offerto al governo, impegnato a rivedere nella legge di Stabilità le regole previdenziali fissate dalla riforma del 2011.
Per quanto riguarda i requisiti di uscita, l’obiettivo è quello della flessibilità, ovvero di consentire a chi lo desidera di lasciare il lavoro anche in anticipo rispetto alle soglie di età previste dalla legge (al momento 66 anni e 3 mesi per la maggior parte degli interessati) in cambio in un importo di pensione un po’ più basso. Il nodo naturalmente è l’entità della decurtazione, che sarebbe permanente e non legata ai soli anni di anticipo rispetto all’età prefissata. Tito Boeri ha recentemente bocciato, in quanto finanziariamente troppo costoso, lo schema messo nero su bianco nel disegno di legge che porta la firma del presidente della commissione Lavoro della Camera Cesare Damiano e di altri parlamentari, basato sulla possibilità di andare in pensione in un arco flessibile compreso tra i 62 e i 70 anni. La penalizzazione sarebbe del 2 per cento l’anno per chi va a riposo prima, con corrispondente premio per chi invece ritarda l’uscita.
LA DECURTAZIONE
La preferenza del presidente Inps va invece ad un modello che con tagli più significativi possa assicurare l’equilibrio finanziario nel medio-lungo periodo. L’esempio è quello del contributivo già applicato, in via sperimentale e come opzione, per le lavoratrici: uscita dal lavoro con almeno 57 anni di età e 35 di contributi, ma con il trattamento pensionistico interamente calcolato con il sistema contributivo. L’entità della penalizzazione rispetto alla pensione definita con il sistema retributivo varia a seconda della carriera individuale, favorendo relativamente chi ha avuto un percorso piatto, ma comunque si può aggirare anche sul 20-30 per cento. Nell’ipotesi che questa opzione venga generalizzata ed estesa agli uomini, il livello minimo di età potrebbe essere elevato. Ma lo schema non piace ai sindacati: ieri Anna Maria Furlan, numero uno della Cisl, ha messo le mani avanti definendolo «impraticabile».
Il contributivo potrebbe giocare un ulteriore ruolo nella proposta Inps: un eventuale ricalcolo parziale delle pensioni già in essere di importo più elevato garantirebbe sulla carta risparmi da utilizzare all’interno del sistema di welfare, a beneficio degli ultracinquantenni che perdono il lavoro e sono quindi esposti al rischio povertà. Ma questo scambio dovrebbe superare il vaglio del governo, poco propenso a soluzioni che prevedano il taglio dei trattamenti già in godimento: anche perché per generare introiti apprezzabili la soglia sopra la quale andrebbe applicato il ricalcolo non potrebbe essere troppo alta.
Sempre a proposito di contributivo, è stata pubblicata in Gazzetta ufficiale la tabella con i nuovi coefficienti di trasformazione ad adottare a partire dal 2016, per la determinazione della quota retributiva della pensione (oggi ancora limitata per la maggior parte dei lavoratori). Si tratta di un adempimento dovuto per legge, sulla base del principio che siccome la speranza di vita si allunga l’importo della pensione percepita per più tempo dovrebbe essere leggermente ridotta. I tagli dei coefficienti rispetto a quelli in vigore dal 2013 vanno dall’1,5 al 2,5 per cento.