ROMA La più volte annunciata proposta di riforma del sistema previdenziale a firma dell’Inps è arrivata. Il neo presidente dell’Istituto, Tito Boeri, l’ha presentata nel modo più istituzionale possibile, durante la sua relazione al Parlamento. Prima di entrare nei dettagli delle sue proposte, Boeri ha voluto rivendicare il suo diritto a presentare ipotesi di riforma del sistema. «Non c’è alcuna violazione di procedure e ancor meno vulnus della nostra democrazia se l’Inps», ha detto, «mettendo a frutto il capitale umano e le banche dati di cui dispone, formula proposte volte a razionalizzare quella selva di normative posta ai confini fra assistenza e previdenza». Il ministro del lavoro, Giuliano Poletti ha ascoltato inflessibile. Poi ha preso la parola e ha sottolineato come la bozza di Boeri sarà presa in considerazione dal governo alla stessa stregua di quella delle parti sociali, dei parlamentari e dello stesso ministero. Una tra le tante, insomma. Anche perché, probabilmente, in molti punti le idee delineate ieri da Boeri sono politicamente sensibili.
I PUNTI
Due in particolare. Innanzitutto la richiesta di un contributo di solidarietà «a chi ha i redditi pensionistici più elevati in virtù di trattamenti molto più vantaggiosi di quelli di cui godranno i pensionati di domani». Un contributo che nel piano di Boeri, dovrebbe servire a finanziare uscite più flessibili nel breve periodo, anche per evitare le penalizzazioni eccessive. E qui arriviamo al secondo caposaldo, quella che la relazione del presidente dell’Inps definisce una «flessibilità sostenibile». Nel lungo periodo il sistema contributivo contiene al suo interno tutti i meccanismi per permettere ai lavoratori di lasciare in anticipo rispetto all’età di maturazione dei requisiti di vecchiaia. Basterà spalmare il montante dei contributi versati su un numero di anni maggiore. Il corollario, ovviamente, è che quanto prima si lascerà il lavoro tanto più bassi saranno gli assegni. In media, anticipando di 4 o 5 anni, secondo le simulazioni, la riduzione sarebbe di un 25-30% sull’assegno. Tuttavia, secondo Boeri, questo è l’unico modo per non aumentare il debito pensionistico e scaricare il costo sulle generazioni future. Anzi. Un meccanismo del genere sarebbe utile anche per affrontare gli shock del mercato del lavoro senza generare disoccupazione.
Nella costruzione di Boeri, poi, c’è un altro elemento. Anche questo centrale: una rete di protezione sociale dai 55 anni in su. Si tratta dell’ipotesi di inserire un reddito minimo garantito, un modo per dare una risposta alle nuove povertà generate della crisi economica. In Parlamento, ha spiegato il presidente dell’Inps, ci sono molte proposte che possono essere razionalizzate e rese meno onerose. E l’occasione dovrebbe essere colta anche per superare «un vizio d’origine» del sistema contributivo: non prevedere prestazioni minime per chi non ha altri redditi e ha accumulato un montante contributivo troppo basso per generare una pensione al di sopra della soglia di povertà. Insomma, sembrerebbe quasi un’ipotesi di reintroduzione dell’integrazione al minimo cancellata con il sistema contributivo. Ma interrogato su questo punto, Boeri ha sottolineato che l’ipotesi rientrerebbe in quella del reddito minimo. Non è una distinzione da poco. Siccome nelle intenzioni del presidente dell’Inps c’è quella di distinguere tra assistenza e previdenza, con la prima a carico della fiscalità generale e la seconda di carattere assicurativo. L’integrazione al minimo, secondo alcuni tecnici del governo, potrebbe essere ricompresa nella previdenza e dunque posta a carico del sistema e non finanziata con le tasse. Infine la riforma Boeri prevede la possibilità di versare e farsi versare presso l’Inps, contributi aggiuntivi che potranno diventare un supplemento di pensione. Uno sbarco dell’Istituto nella previdenza integrativa.