Non è stata certo una passeggiata, non poteva esserlo. Ma poco prima dell’alba, al termine di un dibattito parlamentare dai toni forti e dai propositi miti, Alexis Tsipras ha portato a casa il voto positivo del Parlamento greco alla sua proposta di accordo con Unione europea e creditori assortiti: 251 i sì, 32 i no e 8 gli astenuti. Tra questi ultimi ci sono due ministri e il portavoce della Camera, mentre altri 15 deputati di Syriza hanno affermato di aver dato il via libera per non far cadere il governo. A conti fatti, sommando anche le 7 assenze, tra le quali spicca quella di Yanis Varoufakis, solo 145 deputati del governo (su 300 totali) hanno dato il loro assenso. Il mandato è ampio, ma il premier da oggi è molto più debole all’interno del suo stesso partito.
I media locali l’avevano presentata con qualche enfasi come la notte più lunga di una democrazia che pure vanta una certa tradizione storica. È stato in realtà un confronto serrato che si è svolto su un sottofondo di rassegnazione. In aula sapevano tutti, a parte forse i nazisti di Alba Dorata, che non c’erano reali alternative, via libera oppure addio all’euro con conseguente ecatombe sociale.
Il primo a dirlo è stato proprio lui, Tsipras, durante un intervento dove non sono mancate dosi massicce di realismo. «L’accordo non è ciò che avevamo promesso, e neppure ciò in cui crediamo. Dobbiamo avere il coraggio di ammettere che il programma che ci viene chiesto è molto difficile da accettare, ma è pur sempre migliore di quello precedente. I sei mesi di questo governo sono stati sei mesi di guerra. Abbiamo combattuto, abbiamo perso e insieme abbiamo vinto. Non posso nascondervi che la situazione è difficile, tremenda per la nostra società. Siamo a un passo dal fallimento, questo accordo almeno ci restituisce dignità. Per la prima volta non avremo più Troika, avremmo davanti tre anni di tranquillità che potrebbero attirare gli investitori, darci respiro e stabilità. Non svendo il Paese». A metà del suo discorso il capo del governo è stato interrotto dal socialista Evangelos Venizelos, ex ministro degli Esteri durante il precedente governo di unità nazionale. «Bugiardo» gli ha urlato più volte.
Tsipras ha ripreso il suo discorso senza neppure replicare. «Vi dico la verità» ha concluso «senza fingere che tutto sia perfetto. Questa è la fine di una dura battaglia, per noi e per l’Unione europea che deve cambiare rotta. La nostra lotta aiuterà gli altri Paesi in difficoltà. Sono decisioni difficili, ma chiedo una scelta di coscienza e di responsabilità. Noi ce la faremo, restando in Europa per cambiarla». L’assemblea ha applaudito con una certa convinzione. Gli interventi che sono seguiti non hanno risevato grandi sorprese, in un emiciclo che si svuotava progressivamente, tornando a riempirsi solo al momento della conta e del voto. Tsipras è sempre rimasto al suo posto, ad ascoltare gli interventi dell’opposizione, a cominciare da quello del pittoresco Michaloliakos, leader filonazista Alba Dorata, che lo ha accusato di aver tradito lo spirito del recente referendum accettando un nuovo diktat. «Chiamatelo memorandum, invece di chiudere gli occhi e fare finta di niente». Stavros Theodorakis, il giornalista televisivo fondatore del partito centrista, europeista ma all’opposizione To Potami ha parlato poco, solo per ribadire il suo voto positivo.
I voti c’erano. Rimanevano solo da capire le possibili ripercussioni interne di un sì ottenuto da una maggioranza diversa da quella di governo. Panos Kammenos, attuale ministro della Difesa, fondatore di Grecia indipendente, partito con tendenza a destra che fa parte della maggioranza, ha annunciato un sì molto controverso e sofferto, che per lunghi tratti, fino alla dichiarazione finale, somigliava molto a no. «Se votassimo seguendo la nostra coscienza, vorremmo dire no ai ricatti verso la nostra Patria. I valori europei sono stati traditi, la Grecia ha aiutato altri paesi e entrare in Europa e poi è stata attaccata da tutti». Dopo una pausa teatrale, utile anche a riprendere fiato, è piuttosto corpulento, Kammenos è andato al punto, dicendo quel che quasi tutti pensavano. «Non temo una uscita dall’euro. Piuttosto ho paura che forzando la mano, come vorremmo fare, possa scoppiare di un Paese diviso in due e di una possibile guerra civile. Il nostro popolo non è un pronto a un no». Quindi ha annunciato il suo sì, che significava anche un voto destinato a restare nei confini iniziali della coalizione. Alla fine, gli strappi più laceranti sono arrivati proprio dalla sinistra radicale, che nell’annunciare un ritorno allo spirito alle origini, senza più sconti a quella «responsabilità nazionale» continuamente citata dal suo leader. Alexis Tsipras ha vinto la partita di governo, ma da oggi rischia di perdere quella giocata in casa, nel suo partito.