MILANO Le discussioni interne, l’erosione di consensi, la crisi del Pd. Solo perdite di tempo, per Matteo Renzi: «Se qualcuno dice che il nostro partito è in difficoltà è colpa del caldo». Sotto un padiglione - refrigerato - di Expo, il segretario-premier liquida i maldipancia della minoranza con un’alzata di spalle. E’ il giorno dell’Assemblea democratica che lui trasforma nel giorno degli annunci: «Toglieremo la tassa sulla prima casa nel 2016, ridurremo le imposte sul lavoro nel 2017, e l’Irpef nel 2018». Dice di essere sicuro di farcela. La magagne del partito possono attendere.
LA TRIBU’ DEI MUSI LUNGHI
Davanti alla «sua platea» Renzi si difende e attacca. Un militante vuole una foto con lui e si mette sulla stessa lunghezza d’onda: «Matteo, passo le giornate a difenderti dalle accuse che ti fanno». Selfie meritato, battuta inevitabile: «Ti ringrazio, hai tanto lavoro da fare...». Il premier si sente sotto assedio, dentro e fuori il Pd. Lo si capisce dai suoi toni, dal suo indice perennemente puntato contro «la tribù dei musi lunghi», contro i disfattisti. Ne fa anche una questione d’orgoglio: «Siamo riusciti a far ripartire il Paese, dovremmo andarne tutti fieri. Tutti».
SI PUO’ FARE DI PIU’
Sotto il cielo di Milano il caldo è asfissiante. I delegati arrivano all’assemblea già sudati e un po’ in apprensione: «Oggi Matteo deve per forza ridare slancio al partito». In realtà del partito parla poco. Molto invece del suo governo, di quello che ha fatto e di quello che vuole fare. Elenca: occupati in crescita, pil in crescita, produzione industriale in crescita. «Ma è solo l’inizio, vogliamo e dobbiamo fare di più, molto di più». A cominciare dalle riforme che stanno ancora sospese: quella del Senato, quella delle unioni civili. E quella, annunciata ora, delle tasse.
Sul tema fiscale la premessa è di rigore: «A differenza di altri Paesi europei noi vogliamo continuare a diminuire il debito pubblico». Tuttavia, dice, l’austerità sui conti non impedirà «di fare una rivoluzione copernicana sul tema delle tasse». Che, stando alla sua agenda, inizierà con l’abolizione delle imposte sulla prima casa, l’anno successivo con tagli delle aliquote sul lavoro, e nel 2018 con la riduzione dell’Irpef e dei prelievi sulle pensioni. «I valori del Pd non cambiano, ciò che cambia è che nessuno potrà più dire che siamo il partito delle tasse, ammesso che lo siamo mai stati».
Già, però - promesse a parte - ci sono ferite da lenire. Le sconfitte elettorali in Liguria e in alcune città, i dissensi della minoranza sulle riforme, la diaspora di chi ha lasciato il partito. Per Renzi non sono ferite gravi: «Chi pensa di passare mesi a discutere di questioni interne sta sbagliando direzione: c’è da dare risposte all’Italia, i nostri numeri ci costringono a parlare all’esterno non all’interno». E poi, sostiene, non è vero che i consensi sono in calo: «Siamo il partito che dal 1958 a oggi ha avuto più voti nella storia del nostro Paese».
I NEMICI: SALVINI E GRILLO
Il messaggio è chiaro, e piuttosto brutale: «Non passerò i prossimi due anni a sedare liti interne, a inseguire voci, a calmare dirigenti che hanno costruito la loro immagine mettendo il broncio». Anche perché, dice, se ci sono avversari da combattere non sono dentro il partito. «I pericoli vengono dal populismo dei Cinquestelle, dalla destra xenofoba di Salvini». Fa proiettare sullo schermo alle sue spalle le immagini del capo leghista con le sue proverbiali magliette contro l’euro o contro l’Italia: «Noi, comunque, non possiamo avere paura di loro».
C’è un altro avversario da combattere, aggiunge: «La sinistra radicale». Ma la mano è più morbida con chi ha scelto di lasciare il Pd per andare ancora più a sinistra: «Rispetto le loro scelte e non le dileggio. Però in tutto il mondo andando più a sinistra si perde». E si rischia anche di perdere la bussola: «Dovremmo cominciare a discutere per davvero su cosa significa oggi difendere i valori della sinistra. Perché ci sono molti che pur di inseguire il meglio rinunciano al bene possibile». Ma sarebbe una discussione molto lunga, molto complicata. E oggi, nel giorno degli annunci, non c’è tempo.