ROMA Se la domanda principale è dove Matteo Renzi prenderà i 45 miliardi per il taglio di tasse promesso nei prossimi tre anni, la risposta va ricercata tra le parole che lo stesso premier ha pronunciato ieri a Milano. Il Fiscal compact non è più un tabù. «Il debito», ha chiosato il premier, «scenderà, ma non con un po’ meno intensità». Ma il ragionamento non vale solo per il debito. Vale anche per il deficit. L’unico parametro che il governo è intenzionato a non sforare è quello del 3%. Il pareggio di bilancio previsto dal Fiscal compact, e già rimandato due volte dal governo, sarà con molta probabilità rinviato ancora. Per il prossimo anno, con l’andamento dei conti attuale, il Tesoro potrebbe chiudere con un indebitamento dell’1,4%.
L’OBIETTIVO
Ma l’obiettivo dichiarato da Roma a Bruxelles, è dell’1,8%, perche 6 miliardi circa di deficit, ottenuti grazie alla flessibilità per le riforme effettuate, saranno usati per evitare che scatti l’aumento dell’Iva, che da solo vale 16 miliardi. Gli altri 10 che mancano arriveranno da tagli di spesa. Renzi e Padoan, tuttavia, sarebbero convinti di poter forzare la mano in Europa e lasciar viaggiare ancora più in alto il deficit. Ogni aumento di un decimale di punto vale 1,6 miliardi. Significa che un aumento di un punto, portandolo al 2,8%, quindi ancora sotto il 3%, consentirebbe al governo di guadagnare 16 miliardi e di poter spingere la prossima legge di Stabilità dai 20 miliardi previsti fino a 25-30 miliardi. L’eliminazione della Tasi sulla prima casa, il principale obiettivo di Renzi per quest’anno, vale 3,5 miliardi. Ma la riduzione delle tasse immobiliari prevista per il 2016, è in realtà più alta, 5 miliardi di euro: 200-300 milioni per cancellare l’Imu agricola, un’altra quota per resettare quella sui macchinari, odiata da Confindustria e da tutto il mondo produttivo. E poi, probabilmente, anche alla cancellazione della Tasi sulle seconde case, quella pagata per una quota dagli inquilini. Come l’abolizione della tassa sulle prime case avverrà, tecnicamente parlando, è ancora allo studio. Da tempo al ministero del Tesoro era stato istituito un tavolo per ridisegnare la tassazione sugli immobili, dopo il caos generato dalla riforma con la quale sono state introdotte Tasi e Imu.
LE STIME
Oggi sulle prime case si paga un’aliquota massima del 2,5 per mille, che può essere aumentata dai Comuni fino al 3,3 per mille nel caso in cui riconoscano delle detrazioni per le famiglie con i redditi più bassi. In media la tassa sulle prime case, secondo i dati del Dipartimento delle finanze, è stata di 204 euro lo scorso anno. L’ipotesi alla quale si lavorava al tavolo tecnico, era quella di arrivare ad una tassa locale unica, una «local tax» nella quale far confluire tutti i balzelli locali, dall’Imu, alla Tasi, fino alla Tari e alle tasse sulle occupazioni di suolo pubblico. L’ipotesi, insomma, era quella della semplificazione e non della riduzione. Ma dopo aver bloccato la riforma del Catasto per il timore di nuovi aumenti del prelievo sugli immobili, Renzi ha deciso di nuovo di sparigliare le carte. Riuscirà a superare la prevedibili resistenze europee per portare avanti il suo piano di riduzione della pressione fiscale usando il deficit? Si vedrà. Una complicazione potrebbe derivare dal fatto che quest’anno l’Italia non sarà in recessione e, dunque, potrebbe essere più difficile invocare le «circostanze eccezionali» che i regolamenti di Bruxelles prevedono per scostarsi dal percorso di risanamento dei conti pubblici. Ma se Renzi riuscisse ad ottenere un nuovo slittamento del pareggio di bilancio potrebbe scavallare il 2017, data in cui il Fiscal compact dovrà essere ridiscusso a livello europeo.