ROMA La riforma della contrattazione, il cui modello è scaduto nel dicembre scorso, entra nel vivo. Confindustria ha convocato per domani il Consiglio generale. Ed anche se al tavolo presieduto dal presidente Squinzi (e convocato a inizio 2015) si discuterà soprattutto di temi economici generali ed in particolare delle novità fiscali annunciate dal premier Renzi, filtrano indiscrezioni secondo le quali le categorie che aderiscono a viale dell’Astronomia si confronteranno su una possibile proposta da girare a Cgil, Cisl e Uil. Un documento che, anche in caso di fumata nera sul tavolo di confronto con i sindacati, detterà la posizione di chi, da Federmeccanica a Federchimica, si sta preparando ad aprire la stagione dei rinnovi contrattuali. Il negoziato con i sindacati procede in un clima difficile. «Li metterò spalle al muro, così non si può andare avanti» aveva tuonato il presidente di Confindustria Squinzi due settimane fa. Un avvertimento seguito da un invito a «trovare insieme soluzioni per evitare l’intervento del governo».
LE PROPOSTE IN CAMPO
Uno degli elementi che divide gli industriali dai sindacati è la proposta, cara a Viale dell’Astronomia, di legare i salari alla produttività puntando sulla contrattazione di secondo livello. Una impostazione che non viene bocciata dagli interlocutori. Ma che si vorrebbe costruire assicurando alla generalità lavoratori una piattaforma di garanzie. Così ieri, la Cisl (sulla riforma «non c’è un minuto da perdere» il suo appello) ha lanciato la proposta di prevedere un «significativo salario di garanzia» da dare ai lavoratori delle aziende in cui non si fa contrattazione di secondo livello. Per il segretario generale Annamaria Furlan si tratta di un incentivo» per sbloccare il secondo livello e per questo deve essere «una garanzia onerosa». Secondo Furlan «il contratto nazionale deve definire i minimi salariali, perché deve restare l’ombrello a copertura del potere d’acquisto e anzi deve essere esteso anche a chi oggi non lo ha, precari e atipici». Tuttavia, per la Cisl si deve andare verso un «alleggerimento» del livello nazionale, così da «irrobustire» il secondo livello territoriale e aziendale. Su un punto il sindacato è stato è stato perentorio: l’aumento salariale sancito dal contratto nazionale deve restare agganciato all’inflazione come definito con l’indice Ipca. Anche se in alternativa («noi riteniamo che si debba fare riferimento a un parametro di crescita come quello del Pil» ha invece suggerito il segretario generale della Uil, Carmelo Barbagallo) non viene scartato l’utilizzo dell’inflazione media europea cui agganciare l’incremento delle buste paga. Una eventualità che porterebbe a rivendicazioni salariali, per una inflazione del 6% nel triennio 2015-2018, intorno ai 135 euro medi. «Siamo pronti a ragionare, ma solo con Cisl e Uil, su un nuovo modello radicalmente diverso che non rappresenti semplicemente la manutenzione del vecchio», ha avvertito il segretario confederale della Cgil, Fabrizio Solari.