IL RETROSCENA
Il dossier Atac è sulla scrivania di Palazzo Chigi in una triangolazione che passa dai ministeri interessati (Economia, Trasporti e Funzione pubblica). Il nodo è semplice: ricapitalizzare l’azienda del trasporto pubblico per evitare che porti i libri in tribunale, dichiarando il fallimento. Domani il consiglio di amministrazione della municipalizzata del Campidoglio approverà l’ennesimo bilancio in rosso. Che si chiuderà con una perdita di 130 milioni, di cui 70 sono un’ulteriore svalutazione di crediti. Un risultato che, nella negatività, segna comunque un punto positivo rispetto alle gestioni del passato che hanno portato la società a un passo dal baratro.
11.196
i dipendenti
dell’azienda
municipalizzata
dei trasporti
Dopo il passaggio di domani in cda scatterà la fase più complicata, legata al decreto 72 del Governo Monti che prevede, tra le altre cose, l’applicazione di procedure straordinarie per le società municipalizzate che per tre anni consecutivi presentano bilanci in rosso. La road map fissata dal decreto porta al commissariamento e, di conseguenza, alla liquidazione.
IL BUCO
Per evitare il fallimento bisognerebbe ricapitalizzare l’azienda con circa 200 milioni di euro. A pagare, ovviamente, sarebbe il socio unico di Atac, vale a dire il Comune di Roma. Fino all’anno scorso il Campidoglio era convinto di «trasferire in proprietà ad Atac 18 convogli Caf per un valore complessivo di 150 milioni di euro, avviando così il processo di ricapitalizzazione che dovrà completarsi entro il primo semestre 2015», come aveva spiegato l’assessore ai Trasporti, Guido Improta, durante l’assestamento di bilancio del 2014.
Peccato però che nelle scorse settimane sia arrivata la doccia fredda dagli uffici del Ministero dell’Economia, che in sostanza avrebbero detto chiaramente all’amministrazione comunale che l’operazione non è fattibile perché con il passaggio di proprietà dei convogli il Campidoglio rischierebbe un danno patrimoniale.
LA STRATEGIA
Ecco allora che l’unica opzione praticabile per scongiurare il collasso dell’azienda dei trasporti è una norma salva Atac. Palazzo Senatorio spinge per avere un prestito, la soluzione più immediata per portare a termine la ricapitalizzazione. Il semaforo verde di Palazzo Chigi però ancora non c’è. Pesano soprattutto i dubbi che una scelta di questo tipo possa creare un precedente pericoloso. Dopo l’Atac, qualunque altro comune italiano potrebbe sentirsi autorizzato a chiedere prestiti per rimpinguare le casse delle proprie partecipate in rosso. Sullo sfondo resta poi la dead line del 2019: entro quella data infatti il Campidoglio dovrà mettere a gara tutti i servizi del trasporto pubblico locale: sono già in campo offerte dalla Germania, dalla Francia e dalla Cina.