Le sortite di Matteo Renzi sugli scioperi confermano la corrispondenza di detestati sensi intercorrente fra segretario del Pd e mondo sindacale. Ci sono pure ripicche personali, posto che la Cgil di Susanna Camusso nel duello Renzi-Bersani per la segreteria del partito non si schierò certo a favore dell'allora sindaco di Firenze. Non hanno rinsaldato i rapporti episodi come l'invito della responsabile della Cgil a votare scheda bianca nelle regionali venete.
È innegabile che le ricorrenti polemiche del presidente del Consiglio gli conferiscano, agli occhi di elettori non della sua area politica, un'aura gradita. A milioni di votanti per la destra e il centro (e, oggi, di non votanti o di votanti M5s), i sindacati non sono mai andati giù, la concertazione è detestata, gli scioperi sono ritenuti puramente dannosi. Vedere che Renzi intende assumere, dopo la riforma del lavoro osteggiata dal mondo sindacale, qualche provvedimento che ridimensioni il potere dei sindacati, reca soddisfazione. Certo, R. non arriverà, per esempio, a sopprimere la possibilità di tenere assemblee negli orari di lavoro o a far piazza pulita di tutti i rimasti permessi e aspettative sindacali; ma, a giudicare dalle prime reazioni giunte dalla Triplice, infastidirà Camusso & C.
Naturalmente si determina il fenomeno opposto: l'ostilità delle sinistre democratiche. È un pendolo che da tempo qualifica la politica renziana: con un limite, per il diretto interessato. Se gli abbandoni si sono finora avvertiti (se ne vanno, dal Pd o dal voto, coloro che giudicano R. spostato al centro), non paiono compensati da arrivi dal centro-destra. In questo versante il rottamatore è gradito, se si vuole è pure ammirato: votato, finora, no.