ROMA In alcuni casi sono dei veri e propri colabrodi, enti che fagocitano e distruggono risorse pubbliche. Indebitate, con tanto personale e scarsa produttività. Sono ben sette le regioni italiane in cui le società partecipate che presentano bilanci in profondo rosso superano abbondantemente quelle in utile, con perdite che triplicano (e anche più) i profitti. Accade in Sicilia, ad esempio, dove i 36 milioni di euro di utili messi a segno da alcune partecipate, sono “affossati” dai 117 milioni di perdite di altre. Squilibri pesanti anche in Campania, Umbria, Lazio, Abruzzo, Molise, Calabria. A lanciare l’allarme è la Corte dei Conti nella relazione annuale al Parlamento sulle partecipate locali. In 171 pagine i magistrati contabili hanno scandagliato i bilanci di quasi 4.400 società a partecipazione pubblica, su oltre seimila attive e 7.684 censite nella banca dati Siquel (la differenza è data da quelle in liquidazione o cessate). Un terzo delle attive (1.898) è di proprietà interamente pubblica. La percentuale sale al 70% se si inglobano quelle in cui il pubblico detiene la maggioranza delle azioni. Il 35,72% delle partecipate offre servizi (acqua, energia, gestione dei rifiuti, trasporti e magazzinaggio, sanità e assistenza sociale) e rappresenta il 71,35% del valore della produzione.
Complessivamente comunque il giudizio - nonostante la forte criticità nelle sette regioni già citate - non è negativo: «A livello aggregato, si registra una netta prevalenza degli organismi in utile anche per quanto riguarda quelli interamente pubblici» si legge nel rapporto.
TROPPI DIPENDENTI
Se in Sicilia le perdite sono tre volte gli utili, in Campania la situazione è altrettanto preoccupante: le perdite (57 milioni di euro) sono più del doppio degli utili (26 milioni). E così nel 2013 (anno al quale si riferiscono i bilanci analizzati dalla Corte dei Conti) i cittadini della regione hanno dovuto sborsare oltre 18 milioni per coprire le perdite. Situazione simile nel Lazio (55 milioni di perdite contro 33 di utile): qui ad andare veramente male sono le partecipate al 100% pubbliche (solo 4,4 milioni di euro di utile contro 31,9 milioni di perdite). I disavanzi doppiano i profitti anche in Umbria (44 milioni contro 23). Per non parlare dei disastri in Molise (43 milioni di perdite contro appena 315.000 euro di utili); in Abruzzo (44 milioni contro 6); in Calabria (15 milioni di perdite contro meno di un milione di utile).
Il costo del personale è uno dei punti deboli. In Calabria, ad esempio, incide per oltre il 50% sul costo della produzione, a fronte di una media del 22%. Si spende troppo in stipendi anche in Campania, Sicilia, Sardegna, Puglia, Friuli e Valle d’Aosta. In alcuni casi (soprattutto alò Sud) perché gli organici sono sovradimensionati, in altri perché gli stipendi sono troppo alti, come in Valle d’Aosta dove la media è di 56.000 euro annui. È evidente che un costo del personale così elevato «condiziona il rendimento degli altri fattori della produzione».
RISANAMENTO LENTO
Solo la metà degli enti di Lombardia, Umbria, Toscana, Marche, Friuli-Venezia Giulia, Emilia Romagna, Abruzzo e Veneto, hanno presentato i piani di razionalizzazione previsti dalla legge di Stabilità. Nelle altre regioni - fa notare la Corte dei Conti - le percentuali sono ancora più basse. Un’altra criticità sottolineata dalla magistratura contabile sta nelle gare per l’affidamento dei servizi: per la quasi totalità (26.324 rapporti contro 90) sono affidate in house, senza pubblica gara.