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Pescara, 24/11/2024
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31/07/2015
Il Centro
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Sfruttavano gli operai: 5 arresti e un ricercato. Indagine avviata dopo le denunce della Cgil. Vessazioni e ricatti nei cantieri della ricostruzione all’Aquila, Vittorito e Pratola. Nei guai due imprenditori della Valle Peligna, tre del Teramano e un romeno. |
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L’AQUILA Operai sfruttati, sottopagati, costretti a lavorare anche se ammalati e ricattati di licenziamento in caso di contestazioni. La ricostruzione dell’Aquila ha partorito un nuovo scandalo emerso dall’ennesima inchiesta della magistratura aquilana. Sei le persone colpite da ordini di custodia cautelare per avere lucrato sulla madopera di una ventina di operai. Si tratta di due imprenditori della Valle Peligna, tre del Teramano e un romeno. I reati contestati sono pesanti: associazione per delinquere finalizzata all’intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, reati fiscali e autoriciclaggio. ARRESTATI. Nell’ambito dell’inchiesta «Social dumping» sono stati raggiunti da custodia cautelare Antonio D’Errico, 59 anni, residente a Tortoreto; Nicolae Otescu, detto Nico, di 46 anni, romeno ricercato nel suo Paese; Francesco Salvatore di 56 anni di Pettorano sul Gizio, residente a Sulmona; Panfilo Di Meo di 58 anni di Sulmona; Giancarlo Di Bartolomeo di 49 anni di Teramo; Massimo Di Donato di 53 anni, anche lui di Teramo. Tra le diverse misure cautelari adottate, il gip del tribunale dell’Aquila Guendalina Buccella ha disposto per gli ultimi quattro la detenzione per due mesi. Successivamente, la misura prevederà i domiciliari con l’applicazione del braccialetto elettronico. Infine, disposto anche il divieto di esercitare l’attività imprenditoriale. I CANTIERI. Ecco i cantieri dove venivano impiegati gli operai sfruttati, per lavori complessivi di oltre 22 milioni. Si tratta dell’aggregato 1766 su via Verdi e corso Vittorio Emanuele e dell’aggregato 1733 sito tra via Bominaco e corso Vittorio Emanuele all’Aquila. Inoltre ci sono anche cantieri a Vittorito e a Pratola Peligna. I cantieri non sono stati sequestrati e i lavori sono sempre andati speditamente anche per via delle vessazioni patite dagli operai. I RUOLI. Secondo le complesse indagini portate avanti dal colonnello Giuseppe Donnarumma, comandante provinciale dei carabinieri, Otescu si occupava del reclutamento di operai a basso costo in Romania da inviare in Italia e faceva da principale referente del sodalizio per il pagamento della retribuzione (50 euro a giornata, meno della metà del dovuto) e per le questioni relative alla sistemazione alloggiativa degli stessi. Inoltre curava la creazione di ditte ad hoc. Società costituite con il solo scopo di celare la complessa attività di intermediazione illecita di manodopera, di emettere fatture per operazioni inesistenti per consentire alle ditte di evadere le imposte e giustificare l’uscita di somme nella contabilità delle ditte italiane poi restituite loro in nero; poi faceva da corriere nei viaggi in Romania per la restituzione degli importi indicati nelle fatture per operazioni inesistenti. D’Errico, sempre secondo l’accusa, avrebbe coadiuvato Otescu nella gestione della parte contabile, intrattenendo rapporti con le ditte per il conteggio delle giornate lavorative, per l’emissione delle fatture ed effettuando viaggi in Romania per la restituzione in nero delle somme. Di Donato, Di Bartolomeo, Di Meo e Salvatore «al fine di evadere le imposte sui redditi, avvalendosi di fatture per operazioni inesistenti, indicavano nelle dichiarazioni del redditi voci passive fittizie». Lo sfruttamento andava oltre l’immaginazione: veniva corrisposto un salario giornaliero di 50 euro (sui 110 dovuti) per dieci ore (a fronte del limite di otto). Il tutto a fronte di una violazione sistematica delle norme su straordinari, malattie, ferie e festività. Gli operai dovevano lavorare anche se si sentivano male. Altrettanto grave la situazione alloggiativa: in dieci dentro una stanza. Inoltre gli operai non avevano assistenza sanitaria. «La presenza di imprese che operano in una tale situazione di illegalità nei cantieri della ricostruzione opera una distorsione forte del mercato. Gli indagati dicono in una registrazione: “se continua così andremo avanti fino al 2016”, e per questo andavano fermati». Questo il commento del pm Simonetta Ciccarelli, titolare dell’inchiesta unitamente alla collega Antonietta Picardi e al procuratore Fausto Cardella. Quest’ultimo ha rilevato come quella portata a compimento ieri rappresenti «una delle prime indagini in Italia in materia di sfruttamento dei lavoratori e di autoriciclaggio, norme introdotte di recente nel sistema penale, che ha richiesto grande impegno». Molto difficile è stato il reperimento di testimonianze. Infatti gli operai erano inevitabilmente refrattari nel raccontare le vessazioni ben sapendo che sarebbero stati subito rispediti a casa senza alternative di lavoro.
Il procuratore della Repubblica Fausto Cardella ha precisato che l’indagine (che ha un precedente con analoghe modalità di sfruttamento, quella sui Casalesi), è nata anche grazie al contribuito dei sindacati e in particolar modo dalla Cgil con delle segnalazioni importanti. Ieri, infatti, nella conferenza stampa, era presente anche il segretario provinciale della Cgil Umberto Trasatti
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