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Data: 01/08/2015
Testata giornalistica: Il Messaggero
«Ridurre la spesa non basta tariffe più alte nei trasporti» L’ex commissario alla spending review Carlo Cottarelli: «I prezzi dei servizi devono coprire i costi»

ROMA Carlo Cottarelli ha passato una vita al Fondo monetario e ora è di nuovo a Washington come direttore esecutivo per l’Italia, dopo l’intensa parentesi romana nelle vesti di commissario alla spending review. Dal suo ufficio guarda a quel che succede tra Atene e Bruxelles, ma forse con la coda dell’occhio segue alcuni dossier che aveva lasciato in sospeso nel nostro Paese.
Sul nuovo programma di aiuti alla Grecia c’è il rischio che Ue e Fmi vadano su strade separate?
«Le notizie filtrate in queste ore non rappresentano una novità. Il Fondo monetario ha già indicato chiaramente che allo stato attuale non ritiene sostenibile il debito greco, e che quindi servono azioni per invertire questa situazione. Il Fondo può fare prestiti solo se c’è un’alta probabilità che questi vengano restituiti. È vero che nel 2011-2012 il criterio dell’alta probabilità era stato in qualche modo superato dalle valutazioni sulla natura sistemica della crisi, ma ora si ritorna a quel criterio».
Per intervenire sul debito bisogna mettere d’accordo l’Europa...
«Gli europei non hanno affatto escluso interventi sul debito, però per avviarli attendono di vedere qualche risultato del nuovo programma. Quindi è questione di tempo, si tratta di attendere qualche mese. L’Europa va avanti con l’Esm, poi dopo due-tre mesi dall’inizio del programma immagino ci possa essere una prima verifica. Intanto però partecipiamo alle discussioni sulle politiche da mettere in atto».
E che tipo di riduzione del debito sarà?
«Il Fondo ha indicato tre possibili vie. La prima è l’haircut, il taglio nominale, la seconda un reprofiling massiccio, mentre la terza passa per la concessione di sussidi. La prima è stata esclusa dagli europei, mi pare che la seconda sia quella praticabile, purché si trovi un accordo sulle modalità. Quelle fatte finora però sono solo valutazioni preliminari, che poi andranno aggiornate».
Come giudica il comportamento del governo di Atene dopo le turbolenze di inizio luglio?
«Le autorità greche finora hanno fatto quel che è stato loro richiesto. Dopo il referendum è stato chiaro che occorreva prendere provvedimenti e sono stati presi, il Parlamento li ha approvati in due distinte occasioni, anche su temi cruciali come le pensioni. È un lavoro che andrà seguito passo per passo, ma per ora l’impegno c’è».
Qualcuno dice che i rapporti con la Grecia non funzionavano anche perché la troika era troppo invasiva, si comportava come se fosse in un Paese del terzo mondo.
«Io direi invece che i problemi ci sono stati soprattutto negli ultimi mesi, quando i tecnici di Bce, Fmi, e Ue non avevano accesso ai ministeri e dovevano vedersi con i propri interlocutori a Bruxelles oppure in alberghi di Atene in cui questi ultimi arrivavano con valige piene di documenti. Quando c’è un programma di aiuti si va sul posto per avere migliori informazioni. È una procedura standard, non c’è niente di offensivo. E poi non vedo perché i Paesi del Terzo mondo dovrebbero essere trattati in modo peggiore degli altri».
Che lezione può trarre l’Europa dalla crisi greca? Si è trovata ad affrontarla divisa, con istituzioni non all’altezza?
«Sono d’accordo solo in parte. Se ricordiamo quale era la situazione a inizio 2011, l’Europa ha fatto parecchio per rafforzare le proprie istituzioni. Pensiamo all’Unione bancaria, ai sostegni massicci che sono stati dati ad alcuni Paesi tra cui appunto la Grecia, a condizioni che una volta sarebbero state impensabili. È vero però che ci vuole qualcosa di più, bisogna andare verso più Europa come ha detto anche il ministro Padoan. Recentemente presentando il mio libro sulle istituzioni di finanza pubblica negli stati federali ho avuto modo di far osservare come il bilancio europeo debba diventare ben più consistente, come avviene in quasi tutte le unioni monetarie. Oggi il bilancio della Ue vale il 2 per cento della spesa pubblica dei Paesi dell’Eurozona, mentre anche negli Stati federali più decentrati si arriva al 40-50 per cento. Nel lungo periodo questa è la strada su cui andare. Quanto velocemente, dipende da considerazioni politiche».
Passiamo all’Italia. Dalla spending review il governo conta di ricavare almeno 10 miliardi per il 2016. Gli sarà utile il lavoro fatto da lei?
«Senz’altro c’è continuità. Vorrei ricordare che già negli anni passati sono stati fatti tagli non indifferenti. Ora si sta proseguendo sulla stessa strada. Per citare un tema su cui mi ero molto impegnato, pochi giorni fa si è riunito per la prima volta il tavolo dei 34 soggetti aggregatori per gli acquisti pubblici. Da una certa data in poi tutte le amministrazioni dovranno passare per queste centrali d’acquisto, compresi i Comuni, per acquisti al di sopra di una certa soglia».
Un altro suo cavallo di battaglia erano le società partecipate. Si parla molto di razionalizzazione, ma è possibile ricavare risparmi veri da questo settore, al di là della pur meritoria riduzione delle poltrone?
«Io avevo indicato possibili risparmi per 2-3 miliardi, di cui solo una parte limitata, circa 300 milioni, deriva dalla riduzione dei consigli di amministrazione. Si tratta di chiudere le società in perdita, di far uscire gli enti pubblici da settori in cui non dovrebbero stare. E poi bisogna aggregare perché le dimensioni sono ancora troppo piccole. Ma ridurre la spesa non basta».
Cosa altro bisogna fare?
«C’è anche un problema di tariffe troppo basse, in particolare nei trasporti. Questo problema va affrontato: se necessario si possono dare dei sussidi agli utenti a basso reddito, ma non è possibile mantenere dei prezzi che non coprono i costi. Vuol dire che paga poco anche chi potrebbe permettersi di pagare di più».
La riduzione della spesa pubblica ora viene invocata anche per finanziare il taglio delle tasse.
«L’intenzione di tagliare le tasse c’era anche quando io facevo il commissario alla revisione della spesa: adesso però è stata specificata. È dal 2009 che la spesa si riduce in termini reali, ma fino ad oggi non è stato possibile destinare le risorse all’alleggerimento del carico fiscale perché si riduceva anche il prodotto. Ora che ha smesso di scendere, ci sono più risorse da destinare a diminuire le imposte. È un percorso non facile, ma fattibile».

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