Doveva essere la prima visita all’Aquila del presidente del consiglio Matteo Renzi. In realtà gli aquilani non lo hanno visto. L’attesa passeggiata in centro storico è stata annullata per motivi di ordine pubblico e alla fine Renzi è stato fatto entrare dal retrobottega del Gran Sasso Science Institute (chi abita nel capoluogo di regione da più di 10 anni lo chiama ancora l’ex Isef alla villa comunale). Se vogliamo dirla tutta, la visita del premier è stata bellamente ignorata dalla gran parte degli aquilani magari più interessati all’ultimo spicchio di sole estivo che ai problemi di una città in ginocchio. O, forse, nessuno da questa visita flash si aspettava chissà quali novità. Ad animare il pomeriggio ci hanno pensato i “No Ombrina” e alcuni battaglieri rappresentanti di comitati locali che dalla prima ora contestano modalità e gestione della ricostruzione. Il “fantasma” di Renzi si è così aggirato per un paio d’ore per il capoluogo d’Abruzzo e solo un centinaio di persone ha potuto sentirlo dal “vivo”. Colpa anche di una “location” assolutamente inadeguata, frutto di un’organizzazione sommaria dell’evento, tanto che sono rimasti fuori molti sindaci e i consiglieri comunali dell’Aquila. C’è come una sorta di catarsi nella presenza dei presidenti del consiglio all’Aquila. I miei ricordi sono le strette di mano dell'allora presidente del consiglio Silvio Berlusconi, il distacco gelido di Mario Monti che potei osservare solo da lontano dall’alto della sala delle assemblee dei Laboratori del Gran Sasso, il mancato arrivo di Enrico Letta che non sapeva nemmeno che all’Aquila ci fosse stato un terremoto e se lo sapeva lo ha scientemente ignorato.
Renzi, atteso da un anno (il primo annuncio della sua visita risale all’agosto 2014) ieri è arrivato ma si è nascosto alla vista dei poveri mortali giustificando la cosa con il fatto che non voleva fare annunci choc o annunci show. Forse agli aquilani basterebbero solo annunci normali su questioni fin troppo semplici: certezza sui fondi e sui tempi della ricostruzione, lavoro per i più giovani, vie di uscita dignitose per chi ha perso con il sisma la propria attività, no alla restituzione al 100 per cento delle tasse sospese fra il 2009 e il 2010. Alla fine dell’incontro – mentre Renzi per evitare le contestazioni “fuggiva” fra i vicoletti dell’Aquila infilandosi dietro piazzale Paoli (uno dei luoghi simbolo del sisma) per portarsi in via XX Settembre e raggiungere poi la Guardia di Finanza dove lo aspettava l’elicottero – tutti coloro che hanno ascoltato le sue parole sembravano soddisfatti. Renzi ha detto parecchi sì e qualche nì alle varie sollecitazioni dei politici e dei portatori di interesse dell’Aquila e dell’Abruzzo. Ha ascoltato pazientemente il presidente della giunta regionale Luciano D’Alfonso, il sindaco dell’Aquila Massimo Cialente (che ieri mattina annunciava per l’ennesima volta le dimissioni e nel pomeriggio sembrava più in sella che mai cosciente che solo lui può salvare la sua città), i rappresentanti delle forze sindacali che numeri alla mano hanno dimostrato al premier che L’Aquila è sull’orlo di una crisi sociale devastante. Il tutto mentre fuori la protesta non si è mai fermata e dai megafoni sono state gridate le ragioni di chi non vuole che l’Abruzzo venga devastato dal punto di vista ambientale. Il presidente del consiglio ha concluso il suo intervento con un «risentiamoci fra un anno per fare il punto sui cantieri della ricostruzione». Una dichiarazione che ha entusiasmato molti che hanno visto in Renzi il bravo papà che ogni tanto controlla se i bambini a letto stanno dormendo. A me è sembrata la frase di chi per svicolare da uno scocciatore gli dice: «Parliamone dopo le feste», sperando di non vederlo e sentirlo mai più. In politica un anno è un’era geologica. Chi vivrà vedrà. Basta che non si ripresenti di nuovo un fantasma. Sarebbe troppo.