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Pescara, 23/11/2024
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Data: 04/09/2015
Testata giornalistica: Il Messaggero
«Così taglieremo le tasse la Ue non potrà dire no». Il ministro dell’Economia spiega perché è giusto abolire le imposte sulla prima casa «Il ciclo virtuoso è partito anche grazie alle riforme, nel Def alzeremo le stime sul Pil».

Ministro Pier Carlo Padoan, non ritiene mortificante che Bruxelles pretenda di scegliere quali tasse il governo italiano possa tagliare? Non basta che alla fine i conti tornino?
«Con la Commissione il confronto si basa sulla strategia, al di là dei numeri, e la strategia indicata nel Def è confermata: deficit ancora in calo, quindi debito in calo dal 2016. Nonostante un’inflazione più bassa del previsto, che non dipende dal governo».
Dunque gli italiani possono davvero fare festa: dall’anno prossimo stop definitivo alle tasse sulla prima casa.
«Sì. Nell’ambito della strategia che stiamo perseguendo è una scelta che ha una logica precisa, soprattutto ora che anche nel settore delle costruzioni ci sono segni di ripresa dell’occupazione dopo 19 trimestri in caduta».
Vi ha colti di sorpresa l’accelerazione del Pil che ora sembra proiettato verso una crescita dello 0,9-1% contro la previsione dello 0,7% che a primavera sembrava persino ottimistica?
«Il dato della crescita non ci ha sorpresi, eravamo coscienti di aver fatto una previsione prudente. E’ presto però per immaginare scostamenti come quelli indicati da lei. Ora stiamo lavorando all’aggiornamento delle stime del Def e in quel contesto potremmo registrare un miglioramento. Ci ha invece sorpresi la crescita dell’occupazione».
Per quale ragione?
«Perché è cresciuta più di quanto ci saremmo aspettati in relazione all’andamento del Pil. Evidentemente il combinato disposto tra riforma del lavoro e decontribuzione per i nuovi assunti ha cominciato a fare effetto. La stessa composizione del Pil appare di qualità più solida. Non che l’export sia meno importante, e tuttavia se a crescere è anche la domanda interna la musica non può che cambiare in meglio».
Non vorrà dirmi che è merito degli 80 euro in busta paga...
«Certamente. Gli 80 euro hanno contribuito non solo ad aumentare il reddito disponibile, ma anche a innescare il circolo virtuoso della fiducia tra i consumatori. Mentre è netta la percezione che le riforme hanno cominciato a produrre effetti concreti».
Tutto ciò non è poco, ma basta a spiegare la maggiore sicurezza con la quale vi apprestate ad affrontare la Commissione sul tema della flessibilità?
«Siamo tra i pochi paesi dell’eurozona con deficit sotto il 3% e una dinamica del debito in calo, la strategia di crescita in un contesto di consolidamento dei conti sta dando i suoi frutti. Ci aspettiamo attenzione e rispetto».
Quanto alla flessibilità, grazie alle proiezioni più ottimistiche il Messaggero ipotizza una dote per il 2016 accresciuta a 9-10 miliardi. Conferma?
«È presto per fare previsioni di questo genere».
Ormai la legge di stabilità per il 2016 è in lavorazione: ministro, ci dia qualche numero.
«Quando il ministro dell’Economia fornisce un numero, di fatto impegna il bilancio dello Stato. Avrete i numeri quando saremo certi delle grandezze in gioco».
I giornali fanno tuttora confusione quando tentano di delineare le coperture a fronte del taglio delle tasse indicato in 35 miliardi entro il 2018. Può riepilogare le fonti di provvista?
«Anzitutto va chiarito che la strategia di riduzione delle tasse non comincia oggi ma ha un orizzonte di legislatura. Se consideriamo i 10 miliardi degli 80 euro in busta paga stanziati a partire dal 2014 e i circa 5 miliardi dall’eliminazione del costo del lavoro dall’Irap, una parte importante delle misure e delle relative coperture sono già operative. L’esigenza di coperture nuove verrà soddisfatta con tagli di spesa, minori costi per interessi sul debito e maggiori introiti fiscali indotti dalla crescita».
Lei ha dichiarato che i tagli alle tasse «saranno permanenti e sostenibili», il che significa che si baseranno su coperture certe, tali da non mettere a rischio la stabilità dei conti. Oggi conferma che la via maestra è la spending review. Fino ad ora chi ha tentato di cimentarsi in tagli robusti della spesa si è scontrato con il muro degli interessi particolari, Che cosa le fa pensare che le cose siano cambiate?
«Tagliare non vuol dire solo cancellare. La revisione serve anche a rendere la spesa più efficiente, con risultati che possono essere sorprendenti sul piano dei risparmi e della riduzione degli sprechi. Concentrare - come abbiamo fatto - gli acquisti della Pa nelle mani della Consip, uniformando i prezzi e spingendo sugli sconti, è un passo in questa direzione».
Provi a sintetizzare la nuova strategia del governo in non più di tre pilastri.
«Completamento delle riforme strutturali, ulteriore sostegno agli investimenti, accelerazione del taglio delle tasse in sintonia con il miglioramento del Pil».
Nel processo di rafforzamento dei sostegni alla crescita si era parlato di ruolo preciso della Cdp. Sulla nuova governance e sui patti tra i partecipanti al capitale sappiamo più o meno tutto. Sulle nuove strategie e sulla nuova funzione nulla sappiamo. Vuole spiegarle ora?
«Sgombro il campo da un equivoco: tra i nuovi compiti della Cdp non rientra il salvataggio di aziende prive di possibilità di sviluppo; rientra il sostegno di realtà, come nel caso dell’Ilva, che rappresentano un valore per patrimonio tecnologico o per ruolo strategico nell’economia nazionale ma sono temporaneamente in difficoltà. Cdp può giocare un ruolo in questo campo e in quello della cooperazione allo sviluppo».
C’è anche il capitolo della gestione dei risparmi degli italiani che Poste affida a Cdp.
«Qui dobbiamo constatare un cambiamento di scenario determinato dalla persistenza di rendimenti molto bassi. Questo impone una riflessione sul sostegno agli investimenti a lungo termine. Ovviamente resta la funzione essenziale del sostegno al debito pubblico».
Torniamo ai rapporti con l’Europa. Prima dell’estate si era detto che entro settembre Bruxelles avrebbe dato il via libera alla cosiddetta «bad bank light» per risolvere in via definitiva il problema del forte contenzioso che affligge i bilanci delle banche italiane.
«Confermo la previsione di un provvedimento a breve, anche se il problema è in buona parte avviato a soluzione con le misure introdotte dal governo in favore delle banche sulla fiscalità legata alle perdite su prestiti e quelle per rendere più facile e veloce la riscossione dei crediti per qualunque operatore economico».
Con il ritorno dalle vacanze si riaccende il dibattito su un trilemma che coinvolge anche l’Italia: l’Europa non può avere insieme piena integrazione finanziaria, stabilità finanziaria e politiche fiscali indipendenti. Deve fatalmente rinunciare a una. Lei a quale rinuncerebbe?
«Alle politiche fiscali indipendenti, perché l’integrazione e la stabilità sono irrinunciabili.».
Che cosa pensa del progetto di Wolfgang Schauble di assegnare la vigilanza sui bilanci dei governi a un soggetto terzo, cioè sganciato dalla Commissione europea?
«Mi trovo spesso in sintonia con il ministro delle Finanze tedesco, ma le sue preoccupazioni sull’Europa sono soprattutto sull’azzardo morale, mentre io attribuisco più importanza alla capacità di condividere i rischi. Credo che un ministro delle Finanze europeo capace di definire una politica di bilancio dell’eurozona, che risponda a un Parlamento legittimato da un voto, possa essere parte della soluzione».
La Borsa cinese fa i conti con gli eccessi della speculazione e la bolla è fatalmente scoppiata. Se la correzione dovesse continuare probabilmente inciderebbe sulla velocità di crescita di quel Paese, generando scosse anche sui mercati delle materie prime. Fino a che punto l’Europa è in grado di difendersi dal potenziale contagio?
«Che la Cina avrebbe frenato si sapeva da tempo. Così come era prevedibile la trasformazione strutturale di quel mercato, vista la crescita impetuosa. Ora molto dipende dalla capacità delle autorità di Pechino di dimostrare di saper gestire questa trasformazione. Per il mondo è importante capire quale sarà il tasso di crescita della Cina nei prossimi anni. E’ quindi necessario che i provvedimenti che verranno via via assunti siano chiari. Se così sarà, il rischio del contagio sarà molto limitato».
Dopo la tempesta di luglio possiamo dire che l’uscita della Grecia dall’euro è scongiurata? C’è chi sostiene che le turbolenze non siano finite.
«Quello stretto tra Atene e Bruxelles è un accordo importante, ma va implementato. Fra pochi giorni i greci verranno nuovamente chiamati alle urne, il mio auspicio è che il nuovo governo dia segnali di conferma alla via imboccata da Tsipras. Mai come oggi il destino della Grecia è nelle mani del suo governo».
Janet Yellen, la presidente della Fed, non parteciperà al G20 di Ankara in calendario domani (oggi per chi legge). La sua assenza è stata notata anche durante il meeting di fine agosto a Jackson Hole. Pensa che ciò voglia significare che ha già assunto una decisione in merito al rialzo dei tassi americani?
«Dalla riunione della Fed di metà mese ci dividono due settimane, è perciò presto per trarre conclusioni. Penso invece che le assenze di Janet siano legate al fatto che non si voglia esporre con dichiarazioni premature. Personalmente credo non sia scontata una decisione di rialzo dei tassi: sebbene l’economia Usa sia particolarmente vivace, sul tavolo c’è il rallentamento della Cina. E la Fed negli ultimi anni ha dimostrato di prendere decisioni in modo non meccanicistico ma piuttosto assai pragmatico».

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