ROMA Il cerchio è chiuso, il jobs act, ovvero il pacchetto di provvedimenti che cambia il volto del mercato del lavoro in Italia, è completato. Ieri il governo ha dato il via libera definitivo agli ultimi 4 decreti di attuazione della delega: riforma della cassa integrazione, potenziamento e ridisegno del sistema delle politiche attive con la nascita dell’Agenzia nazionale, avvio dell’agenzia unica ispettiva, semplificazione delle procedure e degli adempimenti. Un anno fa sembrava quasi un miraggio. Il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, lo sottolinea con soddisfazione. Ricordando che in Germania, ad esempio, per una rivoluzione così ci hanno messo tre anni.
SPIE E PRIVACY
Quando arriva nella sala stampa di Palazzo Chigi (non c’è Renzi) il ministro sa bene che la scia di polemiche per alcune decisioni non si placheranno subito. E per questo, forse, che nell’illustrazione dei nuovi provvedimenti appena varati, lascia per ultimo quello sulla semplificazione delle procedure che contiene anche la norma sui controlli a distanza. La sua linea, lo aveva detto ancora alla vigilia, era per inserire almeno «qualche piccolo ritocco». Ma non è passata: il testo è rimasto quello tanto criticato dai sindacati e dalla stessa minoranza interna del Pd. Quello che, secondo alcuni, apre uno scenario da Grande Fratello di orwelliana memoria. D’ora in poi «le informazioni raccolte» dalle aziende attraverso gli strumenti forniti ai dipendenti (pc, tablet, telefonini, ecc.) potranno essere utilizzate «a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro», anche quelli disciplinari, compreso il licenziamento. E questo varrà anche per le telecamere, per la cui installazione resta però l’obbligo dell’accordo sindacale o dell’autorizzazione ministeriale. In tutti i casi l’azienda dovrà rispettare il codice privacy e quindi i controlli non potranno essere continuativi, niente “profilazione” del dipendente e sugli apparecchi non ci dovranno essere software di monitoraggio e geolocalizzazione, a meno che non venga data preventiva informazione al lavoratore. «É un punto di equilibrio ragionevole» dice Poletti. Non la pensano così sindacati e opposizioni.
Ma se alcuni aspetti della rivoluzione jobs act non convincono tutti, ce ne sono altri che invece sicuramente miglioreranno la condizione dei lavoratori. E non a caso Poletti li sottolinea con enfasi. A partire dalla norma che renderà impossibile continuare la pratica delle dimissioni in bianco che pende come una spada di Damocle sulla testa di molte lavoratrici. D’ora in poi la richiesta di dimissioni dovrà essere fatta su un modulo scaricabile dal sito del ministero del Lavoro, un modulo con un numero progressivo che certifica la data.
LA PROTESTA TELECOM
Altra norma che il governo rivendica con orgoglio: l’estensione della cig ordinaria a 1,4 milioni di lavoratori. Sono i dipendenti delle aziende con organico compreso tra le 5 e le 15 unità, e gli apprendisti. Finora potevano sperare nella “lotteria” delle risorse (statali) recuperate per la cig in deroga, ora è un loro diritto (e i costi sono a carico delle aziende). «Abbiamo fatto un lavoro importante sugli ammortizzatori sociali tenendo tutto dentro ai principi di inclusione, semplificazione e razionalizzazione» spiega Poletti. Poco dopo però arriva una bordata inaspettata da parte Telecom: nel ridisegno degli ammortizzatori sociali - dice il presidente del gruppo telefonico, Giuseppe Recchi - manca la solidarietà espansiva e questo «potrebbe portare a riparametrare nei tempi e nei modi il piano di assunzioni». A rischio c’è il futuro di 4.000 giovani.
Se sui controlli a distanza non ci sono stati ritocchi, una correzione è stata invece inserita su un altro argomento “caldo”: il collocamento mirato dei disabili. Resta la chiamata nominativa per tutte le aziende, anche quelle grandi, ma la scelta dovrà essere effettuata necessariamente tra i nominativi inseriti nelle apposite liste del collocamento.