ROMA I tecnici non hanno praticamente mai smesso di sentirsi e confrontarsi, e a breve - forse già la prossima settimana - anche i leader torneranno a sedersi attorno allo stesso tavolo. Rappresentanza e revisione delle regole contrattuali: Confindustria, Cgil, Cisl e Uil, ci riprovano a trovare un’intesa. Alle porte ci sono importanti rinnovi dei contratti: a fine novembre scade quello del settore dell’industria agroalimentare (400.000 addetti), a fine dicembre è la volta di quello “pesantissimo” dei metalmeccanici (1,6 milioni di lavoratori), stessa data anche per chimici (170.000 addetti) e per quello degli elettrici (60.000). Arrivarci con regole più chiare e condivise potrebbe aiutare a ridurre la conflittualità, che in un momento di ripresa economica fa sempre bene. Ma non è soltanto questa la molla: «Se non lo fanno loro, ci mettiamo pochissimo a farlo noi» ha ribadito ieri il premier a Cernobbio, durante il suo intervento a porte chiuse. «Non è una minaccia» ha sottolineato Renzi. Ma è noto che a Palazzo Chigi siano convinti che anche su questi temi si giochi la partita della competitività, dell’attrattività del sistema Italia per le imprese straniere, e quindi della crescita. «Contrattazione aziendale e relazioni sindacali sono temi che vedono le parti a un bivio: ci hanno detto “fate fare a noi” e noi abbiamo risposto ok. Ma se non fanno l’accordo - ha continuato Renzi - noi ci mettiamo molto poco a prendere le decisioni. Per cui si diano una mossa». Sul tavolo del premier ci sarebbe già una proposta messa a punto dai suoi consiglieri economici per regolare, con un articolato unico, rappresentanza sindacale e revisione dei modelli contrattuali.
LA MOLLA
L’idea che su queste materie si proceda con una legge, però, non piace alle parti. A nessuna per quanto riguarda la contrattazione, alla gran parte (solo la Cgil è favorevole) per quanto riguarda la rappresentanza. «Su queste materie quando si va in Parlamento si sa come si entra e non si sa come si esce» osservano in Cisl. Forte è il timore che si faccia confusione. «Il governo punta a rafforzare la contrattazione aziendale? Benissimo, ma cosa c’entra con la rappresentanza? Il governo, piuttosto, ripristinasse la detassazione del salario di produttività» dice Tiziana Bocchi, segretaria confederale Uil. La Confindustria, dal canto suo, da una parte accusa ripetutamente i sindacati di frenare, di essere «un fattore di ritardo», dall’altro teme incursioni del legislatore che possano peggiorare l’accordo già raggiunto sulla rappresentanza.
I TAVOLI
Mentre le categorie vanno avanti (le piattaforme sono già pronte e nelle prossime settimane sono già fissati i primi incontri tra le parti), anche a livello nazionale si tenta un’accelerazione per disegnare le “cornici”. Sulla rappresentanza ci sono ancora alcuni scogli, ma non sono impossibili da superare. Il problema è come rendere applicabile il testo unico firmato a gennaio del 2014 da tutti (Confindustria, Cgil, Cisl e Uil). Con il Cnel che chiude manca il soggetto terzo che deve certificare (sulla base di un mix tra iscritti e eletti nelle Rsu) quali sigle raggiungono il 5% di rappresentanza, soglia minima per essere ammessi ai tavoli di trattativa. Una volta individuato (Inps, Istat o un braccio operativo del Ministero del Lavoro) l’accordo può essere applicato.
Più complicata la revisione dei modelli contrattuali. Sul come attuarla (l’accordo del 2009 era sperimentale ed è scaduto nel 2013) le parti viaggiano in ordine sparso. Molte le variabili in gioco, non solo il ridimensionamento (se e in quale misura) del primo livello di contrattazione a favore del secondo, ma anche la scelta e il peso dei parametri - inflazione, produttività - a cui agganciare gli incrementi.