ROMA Da una parte l’affondo contro i sindacalisti che percepiscono stipendi da nababbi e l’invito a darsi un codice etico, dall’altra l’attacco al Jobs act con la richiesta alla Cgil di raccogliere le firme per un referendum abrogativo. Maurizio Landini, numero uno della Fiom, il sindacato dei metalmeccanici della Cgil, affila le armi in vista di una serie di partite il cui fischio di avvio sta per arrivare a breve. A cominciare, naturalmente, dal rinnovo del contratto dei metalmeccanici.
«Non è accettabile che ci sia qualcuno che dice di fare il sindacalista e prende trecentomila euro l’anno» dice il leader Fiom nella relazione al Comitato centrale del suo sindacato. Osservazione sacrosanta, anche se si insinua il dubbio che sia strumentale a una delegittimazione di colleghi che militano nelle altre sigle sindacali in vista della “chiamata alle armi” su contratto, Jobs act e rappresentanza. Però poi occorre riconoscere che Landini ha le carte in regola per poter fare l’affondo: la sua busta paga, mese per mese, è online sul sito della Fiom da due anni e il suo stipendio di 2.250 euro netti è in liena con la media del settore che rappresenta. Come ci hanno svelato, invece, le cronache anche recenti non è così per tutti. Per cui ben venga «il codice etico» evocato da Landini, ben venga la linea della trasparenza in casa sindacale, che farebbe recuperare autorevolezza e credito al complesso del sistema sindacale in crisi di fiducia. Ma al di là del codice etico, sono altre le prese di posizione che il leader sindacale tiene a sottolineare. Renzi e Confindustria premono per una revisione del modello contrattuale? Landini rilancia: ok ai contratti triennali per la parte normativa, ma quella salariale deve essere contrattata anno dopo anno «come del resto esiste già in Germania».
LO SCENARIOE poi propone due consultazioni referendarie: una sulla piattaforma per il rinnovo del contratto di categoria, da presentare a Federmeccanica, un’altra «sulla legge sbagliata» del Jobs act. Per quanto riguarda l’eventuale discesa in camp del governo per varare una legge sulla rappresentanza, Landini afferma: «Non ci spaventa, è dal 2010 che chiediamo una legge».
Non la vedono così le altre sigle sindacali e Confindustria, che invece sulla rappresentanza preferiscono risolvere gli ultimi scogli tecnici e rendere applicabile il testo unico del gennaio 2014. «Mi auguro che nei prossimi giorni riusciremo a trovare una quadratura, la mia speranza, il mio desiderio è quello di poter chiudere sia il discorso della rappresentanza, che dare un’impostazione per i rinnovi contrattuali che arriveranno da qui a fine anno» ha detto ieri il leader di Confindustria, Giorgio Squinzi, convinto che, al di là di alcune forzature «anacronistiche» (la Fiom in Emilia Romagna diffida le azienda dall’applicare le nuove regole del Jobs act) questo sia «un momento propizio per imprimere una nuova rotta alle nostre relazioni industriali». Squinzi ha anche ribadito di voler «fare l’accordo con tutti» e di non aver mai pensato di abolire il contratto nazionale che, invece, «rimane elemento cardine». Questo però non impedisce di «collegare più strettamente le dinamiche retributive ai guadagni di produttività e redditività» nel contratto aziendale. Pronti a raccogliere l’invito Cisl e Uil. Il numero uno del sindacato di via Po, Annamaria Furlan, ha ricordato che «la Cisl è pronta da tempo» a discutere della riforma del sistema contrattuale e dell'attuazione dell’accordo sulla rappresentanza. Il segretario generale Uil, Carmelo Barbagallo, ha spronato le altre sigle a «una posizione unitaria». Ieri Squinzi ha anche riconosciuto al governo di aver varato «quasi tutti» provvedimenti nella giusta direzione. Tra questi c’è sicuramente quello della decontribuzione, che quindi - auspica il numero uno di Confindustria - sarebbe bene rendere strutturale.