Il presidente della Regione Luciano D’Alfonso non ha pregiudizi ideologici. E, d’altra parte, nella notte delle ideologie, tutti i gatti finiscono per essere grigi. Per questo si faticherebbe a inquadrare certe scelte e certe nomine applicando categorie politiche novecentesche: destra, sinistra, centrodestra, centrosinistra, riformismo, conservazione. In questo D’Alfonso appare più renziano di Renzi, altro decostruttore di luoghi comuni politici. La conferma viene dall’ultima nomina al vertice Fira, con Rocco Micucci (uomo dichiaratamente di destra) che lascia la presidenza, ma resta braccio operativo della finanziaria regionale in qualità di segretario generale. O dal rimpasto in giunta, che penalizza Pd e Sel e promuove un movimento trasversale come Abruzzo Civico e una personalità certamente non di sinistra come Andrea Gerosolimo. Si dirà che D’Alfonso preferisce guardare (lo ha detto lui stesso) alla qualità degli uomini e delle donne e non al colore delle maglie. È possibile, ma nelle sue decisioni giocano anche tic e consuetudini di antica scuola democristiana. Durante la campagna elettorale per le regionali del 2014, ai Pd (ex Pci) che protestavano per certe presenze nelle liste, D’Alfonso ricordò che nel 2000 fu candidato eletto del Partito popolare in consiglio regionale, e che in quell’occasione il centrosinistra perse contro il centrodestra per soli 3.614 voti, lo 0,46%. Sarebbero dunque bastati due candidati da duemila voti per ribaltare il risultato. Due qualsiasi: di centro, di destra, di sinistra. Due gatti grigi, magari digiuni di marxismo, ma in grado di prendere topi. Questo è quello che si dice un ragionare da democristiani. Zio Remo approverebbe..