ROMA Lo si potrebbe definire il principio di realtà. La manovra alla quale lavora il governo, e che Matteo Renzi ha spiegato veleggiare verso i 25 miliardi di euro, avrà sostanzialmente due grandi (e costose) priorità e un’appendice. La prima è disinnescare la mina dell’aumento dell’Iva e delle accise che da sola vale 16,8 miliardi. La seconda è onorare la promessa dell’abolizione totale della Tasi sulle prime case con il corollario della cancellazione anche per i terreni agricoli e per i macchinari «imbullonati» delle imprese. Un tris di misure che vale 4,5 miliardi di euro. L’appendice è il piano per il Sud che Renzi ha voluto inserire nel carniere degli impegni autunnali. Già da soli questi tre capitoli costeranno circa 25 miliardi di euro. Tutte gli altri progetti in cantiere, dalla flessibilità delle pensioni, fino alla decontribuzione, saranno ridimensionati. Quello degli sgravi sul lavoro, tuttavia, è un tema delicato, sul quale negli ultimi giorni nei tavoli tecnici si discute molto. L’azzeramento dei contributi sui neo assunti del 2015, insieme al jobs act, ha dato una spinta all’occupazione. Ma il prossimo anno difficilmente sarà confermato, nonostante le pressanti richieste in tal senso da parte della Confindustria. Il problema sono, come sempre, i costi. Lo scorso anno sono stati stanziati circa 2 miliardi, ma essendo la decontribuzione triennale il costo cresce nei due anni successivi.
GLI IMPEGNI
Quest’anno, con le clausole di salvaguardia da azzerare, si tratta di un costo difficilmente sostenibile. Così come anche l’altra ipotesi spinta da alcuni consiglieri di Palazzo Chigi, quella di ridurre di tre punti l’aliquota contributiva. Anche in questo caso il peso sulle finanze pubbliche sarebbe eccessivo. Ogni punto di contribuzione in meno costa 2 miliardi di euro, quindi toglierne tre avrebbe un impatto di 6 miliardi. Ma sul fronte della decontribuzione qualche cosa il governo farà. Al momento la misura considerata più fattibile, nonostante la necessità di un’autorizzazione da parte della Commissione europea, è la conferma della decontribuzione totale soltanto per le imprese del Mezzogiorno. «Nel Meridione», spiega uno dei tecnici al lavoro sul dossier, «è concentrato solo il 30% dell’occupazione totale, quindi il costo della misura si ridurrebbe a poco più di 500 milioni». A livello tecnico si stanno studiando anche altre ipotesi. Come quella di limitare gli incentivi solo ad alcune categorie di lavoratori (come le donne) o soltanto all’occupazione aggiuntiva. Ma a Palazzo Chigi su questo c’è più scetticismo. I consiglieri del premier ricordano come le misure vincolate da molti paletti, come quelle che aveva varato il governo Letta per i giovani, non danno grandi risultati. Sul fronte Tasi, intanto, ieri il sottosegretario all’Economia Enrico Zanetti ha chiesto che l’abolizione della tassa sulle prime case avvenga «nella perfetta invarianza della restante disciplina». Il che significa, in pratica, fermare la riforma della local tax, che potrebbe apparire come un cavallo di Troia per prendere da qualche altra parte quanto tolto sulle prime abitazioni. Il sottosegretario Pierpaolo Baretta, invece, ha insistito per prorogare il bonus sulle ristrutturazioni edilizie. Sulla questione della flessibilità delle pensioni, infine, è intervenuto il presidente dell’Inps Tito Boeri, contestando l’interpretazione secondo la quale la proposta di riforma dell’Inps comporterebbe un taglio del 30% sugli assegni pensionistici. Il ministro dello Sviluppo, Federica Guidi, infine, ha confermato l’intenzione del governo di agire sulla leva del credito di imposta per gli investimenti in Ricerca e Sviluppo e per il Sud.