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Pescara, 24/11/2024
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Data: 09/09/2015
Testata giornalistica: Il Centro
Pensioni, no dell’Inps al taglio del 30%. Smentita dal presidente Boeri la proposta di flessibilità in uscita. E la Cassazione boccia i tetti fissati prima del 2007

ROMA Si avvicina la legge di stabilità e torna in primo piano il capitolo pensioni, che ieri si è arricchito di una nuova sentenza della Corte Costituzionale che rischia di aprire un ennesimo buco nei conti con la dichiarazione di illegittimità del tetto agli assegni da parte delle casse privatizzate prima del 2007. In sostanza la suprema Corte ritiene che gli assegni debbano essere corrisposti pro rata e non possano essere fissati limiti per motivi di bilancio. Ieri il presidente dell’Inps è stato costretto a smentire che la proposta sulla flessibilità presentata al Governo preveda il taglio delle pensioni del 30% o il ricalcolo con metodo contributivo: «I giornali hanno scritto che ci sarebbe una riduzione delle pensioni del 30%. Non è così, la nostra proposta al governo non ha un taglio grande delle pensioni ma prevede una riduzione equa per chi sceglie di anticipare il ritiro che non implica una riduzione di quell’entità nè il ricalcolo con il metodo contributivo», ha spiegato Tito Boeri. I tecnici dell’Economia e di Palazzo Chigi non hanno ancora escluso del tutto misure sulle pensioni in Stabilità ma prende forza l’ipotesi di due provvedimenti collegati. Il problema è sempre quello delle risorse: se nel medio-lungo periodo meccanismi di anticipo con penalizzazione si autofinanziano, nell’immediato serve una copertura di cassa certa. Da qui l’ipotesi, di una disciplina provvisoria da adottare magari con un provvedimento collegato alla manovra, un disegno di legge successivo da adottare nel corso del 2016. L’intervento principale sul quale si sta lavorando è lo sblocco dell’opzione contributiva per le donne che vogliono ritirarsi dal lavoro a 57 anni (58 se autonome) con 35 di versamenti ma in cantiere c’è anche un settimo provvedimento pro-esodati. La flessibilità non deve produrre alcun esborso: lo ha detto Renzi lunedì e lo ha ribadito ieri il viceministro dell’Economia. Se si dovesse realizzare un intervento di anticipo in uscita, ha sottolineato Enrico Morando, «bisogna farlo senza prendere quote di risorse significative dal bilancio per spostarle sulle pensioni. Se ci sono risorse vanno impiegate per affrontare il dramma delle famiglie in situazione di povertà assoluta». La spinta sull’uscita anticipata con decurtazione viene anche dall’analisi economica della sperimentazione lanciata nel 2004: i maggiori oneri determinati da questa misura viaggiavano attorno ai 320 milioni, con un avanzo di 1,3 miliardi rispetto alle risorse a suo tempo ipotizzate a copertura (1,68 miliardi). Nel 2016 intanto scatterà una vera e propria “mazzata” per le donne del settore privato con l’aumento dell’età di vecchiaia nel complesso tra scalino e aspettativa di vita di un anno e 10 mesi. Le donne del privato dal 2016 dovranno aspettare i 65 anni e 7 mesi a fronte dei 63,9 fissati fino a quest’anno. Senza interventi sulla legge Fornero per le donne in Italia tra il 2014 e il 2020 si avrà lo scalino più alto tra i paesi Ue per quanto riguarda l’età effettiva di uscita che passerà da 62,1 anni a 65,5 superando di quasi due anni l’età effettiva media nell’Ue (63,6). Anche per gli uomini l’età effettiva di uscita cresce di oltre tre anni (da 62,4 a 65,9 superando ampiamente la media Ue (64,4 nel 2020). In pratica in assenza di interventi saremo a breve tra i paesi più virtuosi in Europa sull’età effettiva di uscita dal lavoro anche grazie alla stretta sulle pensioni anticipate (dal 2016 si andrà prima dell’età di vecchiaia solo a fronte di 42 anni e 10 mesi di contributi se uomini e 41 anni e 10 mesi se donne). La spesa per pensioni e welfare è destinata a crescere inesorabilmente.

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