Il Messaggero Abruzzo è sotto choc per la morte a 59 anni di Claudio Fazzi. Cronista storico, era stato assunto nel 1986: un infarto lo ha stroncato ad Alba Adriatica ieri mattina. Oggi la salma sarà esposta a casa dei genitori, a Nereto in via Matteotti 185. Domani i funerali alle 16 nella chiesa parrocchiale. La redazione Abruzzo, incredula, si stringe in un grande abbraccio alla famiglia
L'AQUILA «Metti una sera a cena...». E giù con aneddoti, indiscrezioni, frasi rubate alla leggerezza di una conviviale, confessioni. Claudio Fazzi era così. Visceralmente proiettato sulla notizia tanto da non fare sconti nemmeno una volta seduti a tavola, o intorno a un aperitivo, magari tra amici, quando le briglie si sciolgono un po'. Il suo celebre incipit ha sparigliato negli anni trattative politiche, anticipato nomine, raccontato personaggi e nezze figure, indirizzato le scelte, raccontato fasi delicate della storia della regione, provocato tanti mal di pancia. Non importava: «Il giornale prima di tutto» diceva sempre e attorno a questo concetto ha costruito un'esistenza. Un attaccamento alla professione quasi d'altri tempi, maniacale, vissuto in maniera totalizzante, dentro e fuori dalle stanze del quotidiano a cui ha dedicato tutto se stesso: da collaboratore, nei primi anni '80, fino al coordinamento delle redazioni (Teramo e L'Aquila), passando per una miriade di esperienze in giro per l'Abruzzo e l'Italia. La sua penna, salace, scomoda, carica degli amatissimi aforismi, passionale, lo ha rappresentato meglio di ogni altra cosa. Giornalista (e uomo) mai banale o scontato, eccezionale punzecchiatore, riusciva più a dividere che a unire. Ma, in fondo, era questo il suo scopo: allontanarsi dalla normalità, stimolare, anche provocare se necessario.
SENZA PADRONI
Senza padroni, senza amici o nemici, senza sconti. Senza paura di esporsi, nella professione come nella vita di tutti i giorni. Claudio era un amante dell'amore, nel senso più ampio del concetto. La stessa passione che dedicava al suo lavoro riusciva a trasmettere a chi gli gravitava intorno, all'incessante ricerca di una storia che valesse la pena raccontare, non importa se sul giornale, via sms, su Facebook, al telefono o persino su un piccolo libro nel quale aveva raccolto le sue emozioni, qualche mese fa. Amore per il Messaggero, amore per la famiglia, amore per l'Inter, per i bei tramonti e le sere d'estate. Arrivava a tormentarsi pur di vivere la vita fino in fondo, senza risparmiarsi.
LA STORICA SEDE
All'Aquila, nella storica sede di corso Vittorio Emanuele, era arrivato nel 2007. Felice di aver ritrovato un amico di vecchia data, Alessandro Orsini, che oggi ha raggiunto, da qualche parte in cielo. Contento perché, come scherzava, nonostante i natali in riva al mare preferiva il fresco, la montagna, le atmosfere un po' grevi dell'autunno. La morte dell'adorato fratello ha purtroppo stravolto percorsi e prospettive. E L'Aquila è diventata una vita in salita la notte del 6 aprile del 2009. Ma anche un luogo dal quale non è mai riuscito a fuggire, trattenuto dall'irrefrenabile bisogno di raccontare la tragedia di persona, sul campo, senza filtri. E' rimasto qui in camper, poi in un ferroso container, senza badare a caldo, freddo e scosse. Quella tremenda notte si è svegliato, vestito ed è sceso subito in strada, battendo la città in lungo e in largo come pochi altri colleghi hanno fatto nelle primissime ore. Negli ultimi mesi era stato trasferito a Pescara nel quadro della riorganizzazione dell’edizione Abruzzo continuando sempre a curare le pagine aquilane. Altra vita, stesso entusiasmo. Dai Claudio, su, dicci che era uno scherzo.