L’AQUILA - “Meno di centrosinistra, più di centro”... destra. Questa inquadratura, con una piccola aggiunta, del nuovo assetto della Giunta regionale rimpastata, è parola dell’ormai ex assessore e (forse) futuro sottosegretario Mario Mazzocca, la cui decisione, accettare o meno il suo nuovo ruolo, legata anche ai voleri collegiali del suo partito Sinistra ecologia libertà, farà la differenza sul mantenimento o meno di un pizzico di sinistra nella squadra di Luciano D’Alfonso.
UN ASSESSORE DI CENTRODESTRA
Quello che è già certo è lo spostamento al centro, o meglio, a destra, perché al di là della candidatura nell’alveo del centrosinistra a sostegno del governatore nel maggio 2014, il nuovo assessore Andrea Gerosolimo è e resta un uomo di centrodestra.
Tanto che, pochi lo hanno ricordato, per potersi schierare con D’Alfonso ha lasciato proprio il centrodestra con cui era stato eletto nel 2010 in Provincia dell’Aquila a sostegno del presidente Antonio Del Corvo, confluendo nel gruppo misto, e oltretutto come contropartita ha chiesto e ottenuto, come svelato dallo stesso presidente, la cacciata dell’assessore aquilano Luigi D’Eramo e la sostituzione con un nuovo nome a lui legato.
E a un mesetto dalle Regionali del maggio 2014, ad andarsene dall’esecutivo Del Corvo è stata anche la moglie di Gerosolimo, Marianna Scoccia, che era assessore provinciale, pure di centrodestra, per un periodo in Giunta assieme al compare d’anello della coppia, Guido Liris, l’aquilano vice presidente regionale di Forza Italia, non a caso.
Gerosolimo in Giunta regionale come “assessore di centrodestra”, nell’ambito di un “patto” con il presidente per allargare la sua maggioranza e difendersi da possibili tiri mancini appunto a sinistra: un’ipotesi che trova sempre più conferme, visto anche lo stretto rapporto tra il novello componente dell’esecutivo e l’attuale consigliere forzista, nonché pure lui ex assessore, Paolo Gatti.
Una prova? Al termine dell’incandescente Consiglio comunale pre-Ferragosto, quello che con il voto contrario suo, dell’altro consigliere di Abruzzo civico Mario Olivieri e del dem Luciano Monticelli ha fatto saltare il finanziamento alla Sinfonica da 800 mila euro, aprendo la crisi, i più attenti hanno visto Gatti e Gerosolimo a cena confabulare fitti fitti in un noto locale aquilano di via XX settembre: abbastanza vicino a palazzo dell’Emiciclo, ma anche abbastanza lontano, rispetto al “solito” chalet della Villa, da rendersi irreperibili a occhi indiscreti. Non a tutti, evidentemente.
E ancora, oltre che di Gatti, Gerosolimo è amico anche di Lorenzo Sospiri, pescarese, capogruppo forzista, che contesta spesso con note polemiche l’operato di D’Alfonso ma non affonda il colpo tanto quanto potrebbe, lasciando il ruolo di apripista a quello che forse può essere considerato l’unico, vero oppositore dalfonsiano: lo scatenato Mauro Febbo. Un altro indizio.
SITUAZIONE PARALIZZATA, D’ALFONSO OSTAGGIO
Come ha potuto, uno come D’Alfonso, infilarsi in un simile pantano per la sola volontà, e lui spera che non diventi velleità, di allargare la coalizione per tenerla insieme?
Il presidente non ha potuto fare altro e anzi, ha dovuto schiacciare l’acceleratore perché, un mese dopo il Consiglio sulla Sinfonica, la situazione era ancora paralizzata. E se si fosse andati con lo stesso assetto di nuovo al voto, i tre ribelli avrebbero sostenuto l’opposizione e la maggioranza sarebbe andata sotto, aprendo una crisi vera e forse non più risolvibile.
La pressione sul governatore è salita alle stelle. Tanto che, secondo quanto si è appreso, nelle settimane immediatamente precedenti alla ripresa dei lavori dopo la pausa estiva, le commissioni controllate dai ribelli (la quarta, Politiche europee, con Monticelli presidente e Gerosolimo segretario, e la quinta, Sanità, guidata da Olivieri) non hanno funzionato come dovrebbero: un chiaro messaggio dell’aria che tirava.
Di qui la mossa di far dimettere tutti gli assessori, per resettare il quadro, e la nomina di una nuova Giunta con Gerosolimo al posto di Mazzocca, facendo raggiungere all’esponente della Valle Peligna il suo unico e vero obiettivo personale, la conquista di una poltrona di potere.
Ora che il blitz è riuscito, Monticelli ha celebrato il nuovo metodo condiviso con una nota abbastanza generica in cui parla della vicenda della cultura, ambito nel quale i tre si sono mossi come veri e propri “assessori abusivi” nelle settimane della fronda.
E ora ci sarà da capire se D’Alfonso sarà così ardito da affidare la delega proprio al “giustiziere” Gerosolimo, titolo che detesta ma che ha pienamente meritato, visto che, se tra due giorni non passa il contributo, l’Istituzione, che ha chiuso anzitempo la stagione concertistica, porterà i libri contabili in tribunale.
UN SOTTOSEGRETARIO SENZA ‘CASA’ E POTERI
In questo scenario va inquadrata la partita del sottosegretario, ruolo lasciato libero dal dem Camillo D’Alessandro con una mossa generosa ma anche astuta, e già rifiutato da Sel con un’infuocata assemblea notturna i cui esiti sono stati anticipati da AbruzzoWeb.
Da quel punto si è scatenata la moral suasion del presidente e dei suoi e il punto di vista dei vendoliani è leggermente cambiato, “no alla nomina almeno fino al compimento di una necessaria verifica”, e tale è rimasto anche ieri, al momento della presentazione all’americana della nuova squadra di governo.
Celebrata, tra l’altro, a Pescara, con la conferma della tendenza dalfonsiana a considerare un altro capoluogo e qualche assenza polemica, come quella dell’unico consigliere aquilano, Pierpaolo Pietrucci.
Il cerimoniale ha visto una gustosa forzatura: D’Alfonso ha parlato da solo e impedito ad altri di parlare, almeno dal banco dei relatori, e ha annunciato come fatto e ufficiale Mazzocca sottosegretario. Ma dalle successive interviste è emerso come l’ormai ex assessore non abbia firmato alcun decreto di nomina per il nuovo incarico e anzi, abbia fissato un termine di ben 2 settimane per una decisione definitiva sempre dopo la solita verifica.
Le perplessità di Sel e di Mazzocca sono di due ordini, una politica, l’altra, forse perfino più importante, tecnica.
Sul piano politico, rispetto a un assessore il sottosegretario è una persona di strettissima fiducia e dipendenza dal presidente. Mentre fin qui i vendoliani sono stati spesso voce critica e alternativa su temi come quelli ambientali, gestiti da Mazzocca come componente della Giunta, il cambio di ruolo costringerebbe quasi naturalmente Sel a “normalizzare” la propria posizione antagonista e allinearsi ai voleri della maggioranza e del Pd, diventandone di fatto una dependance.
A questo si intreccia il fatto tecnico. Un assessore è vertice politico di una struttura o più di una, ognuna dotata di capo dipartimento, funzionari e dipendenti, autonoma come dotazioni finanziarie, pur risicate, e come capacità di stilare documenti e delibere da sottoporre poi al vaglio della Giunta e, in alcuni casi, del Consiglio.
Il sottosegretario, viceversa, in quanto tale dipende dalla Presidenza della Giunta, cui afferisce, non ha tecnostruttura propria alle sue dipendenze, non può proporre documenti di fatto e non ha neanche voto nell’esecutivo, pur facendone parte secondo lo Statuto, ma esterno. Può avere funzioni e non deleghe, e comunque i temi che segue non possono tradursi in atti.
E se queste limitazioni erano quasi superflue per D’Alessandro, un “piccolo D’Alfonso” per capacità oratoria e conoscenza dei gangli della macchina regionale, visto che si trova alla terza consiliatura, potrebbero invece costituire un problema insormontabile per Mazzocca, politico di lungo corso ma all’esordio all’Emiciclo, e molto meno incline ad allinearsi ai voleri del presidente e più tendente, anzi, a caratterizzarsi con posizioni proprie e forti sui temi caldi dell’ambiente come le trivellazioni e la protezione civile, che pure, gli è stato promesso, potrebbe continuare a seguire dal nuovo, ma depotenziato, posto al governo.
IL PRESIDENTE BURLONE
In tutto ciò chi non esce benissimo dalla vicenda rimpasto è proprio D’Alfonso, messo sotto scacco da tre consiglieri, costretto a risolvere la crisi proprio come si faceva nel mondo della vecchia politica democristiana (e non solo) che aveva promesso di smantellare, ossia con il mercanteggiamento politico di posti di potere.
Si ritrova con una maggioranza sgretolata in cui centristri e sinistri si guardano in cagnesco tenuti a freno solo dall’ampio cuscinetto del Pd, e dove ora c’è il precedente: si sa che basta una fronda di tre consiglieri per ottenere un assessorato.
A fronte di questo, stupisce l’ironia, a volte incomprensibile, che il governatore è riuscito a sciorinare nelle sue uscite pubbliche, denunciando un serio difetto di comunicazione, prima impensabile per lui che da sempre è accreditato come un maestro dell’eloquio.
Lodevole, per carità, per un amministratore pubblico di vertice è rispondere al telefono ai cronisti anche nel corso di infuocati vertici, ma uscite “a banana” come “non sono uno spingitore di risposte”, “chi esce dalla Giunta? De Fanis”, che rievocano quella di qualche mese fa “non ho controllato dove le madri dei dirigenti hanno poggiato gli uteri, all’Aquila o a Pescara” regalano titoli facili ai giornali, ma tanta incomprensione ai cittadini che le leggono riportate fedelmente.
Perché quando parla un presidente della Regione bisogna starlo a sentire e scrivere bene tutto quello che dice. Anche se è un po’ burlone.