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Data: 14/09/2015
Testata giornalistica: Il Messaggero
Pensioni, la Ue dietro il no alla flessibilità: spesa più alta dal 2020

ROMA Prudenza e massima attenzione all’equilibrio dei conti. Le parole d’ordine con cui il governo sta gestendo il tema delle pensioni hanno motivazioni immediate (la priorità data alla riduzione della pressione fiscale) ma esprimono anche una preoccupazione più complessiva: rimettendo mano alla legge Fornero in direzione di una maggiore flessibilità si rischia di compromettere uno dei punti di forza del nostro Paese nei confronti internazionali e dunque anche di incrinare la sua credibilità per gli anni a venire. Per capire quanto il tema sia delicato basta dare un’occhiata all’ultimo aggiornamento del rapporto sulle “Tendenze di medio-periodo del sistema pensionistico e socio-sanitario” elaborato dalla Ragioneria generale dello Stato.
GLI SCENARI
L’edizione di quest’anno, come di consueto, contiene oltre ai dati del cosiddetto scenario nazionale anche quelli dello scenario definito in sede europea e più precisamente presso il comitato di politica economica del Consiglio Ecofin (Economic policy committee - Working group on ageing, in sigla Epc-Wga). Questo organismo ha rivisto proprio nel 2015 le sue previsioni: pur in un contesto in cui gli effetti delle riforme italiane sono pienamente evidenti e riconosciuti, la stima della spesa si discosta significativamente da quella che emerge dal modello nazionale a partire dal 2020 circa e la divergenza tocca un picco massimo dello 0,7 per cento del Pil nel 2032, per poi essere riassorbita progressivamente nei decenni successivi. In pratica sovrapponendo la curve del rapporto tra spesa pensionistica e prodotto generate dai due diversi modelli si osserva una visibile gobba dopo il calo delle uscite tra 2015 e 2020, anno in cui la loro incidenza si colloca in entrambi gli scenari al 15,3 per cento. Com’è usuale quando si parla di invecchiamento della popolazione e pensioni le stime coprono un arco di tempo molto lungo, arrivando al 2060. Nell’insieme, anche dai numeri europei non esce un quadro allarmante, soprattutto in rapporto alla situazione di altri Paesi che hanno affrontato il tema previdenza con meno determinazione; ma è chiaro che qualunque ritocco all’impianto delle regole attuali verrebbe passato ai raggi x dalle istituzioni di Bruxelles.
Da cosa dipendono queste valutazioni differenti? Essenzialmente dalle diverse stime sull’andamento dell’economia in particolare nel quindicennio dal 2020 al 2034, che a sua volta avrebbe conseguenze sulla dinamica occupazionale: il tasso di disoccupazione risulta più alto per 1,5 punti, mentre nel medio-lungo periodo i tassi di attività risulterebbero più bassi di quelli dello scenario nazionale, a causa della riduzione della componente maschile nel mercato del lavoro. Al contrario, le ipotesi demografiche su cui si basa lo scenario Epc-Wga sarebbero più favorevoli di quelle assunte come base a livello nazionale. In particolare per quanto riguarda i flussi migratori: il saldo tra coloro che entrano in Italia e coloro che invece se ne vanno risulta costantemente più alto nel modello europeo, con 348 mila immigrati “netti” contro 251 mila nel 2020 e 382 mila invece di 220 mila nel 2030. Da notare che si tratta di numeri comunque abbastanza distanti dalla realtà effettiva, visto che il saldo migratorio rilevato dall’Istat nel 2014 è stato di circa 140 mila unità. I valori della spesa pensionistica in rapporto al Pil tornano ad avvicinarsi negli anni ancora successivi per poi allinearsi nel 2046 e scendere in modo uniforme fin sotto il 14 per cento del Pil nel 2060.

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