Il chitarrista che chiedeva un occhio di riguardo al suo Dio, e quel riguardo non lo ha avuto, compirebbe tra poco settant’anni. Ivan Graziani è nato a Teramo il 6 ottobre 1945 e se n’è andato troppo presto, il Primo Gennaio 1997 a Novafeltria, il luogo della moglie Anna in cui si era trasferito da tempo. La sua bella città dovrebbe come minimo organizzare una festa di compleanno per uno dei suoi cittadini più illustri, ma la giunta fa poco. Anzi nulla. Gli amanti del cantautore più atipico italiano stanno lamentando – per esempio nel gruppo chiuso “Maledette malelingue” su Facebook – il disinteresse dei politici locali. Non è una novità. Evidentemente una delle cifre di Graziani, il cui talento è stato tanto enorme quanto insolito, è quella di essere stato sottovalutato in vita come in morte. Un anno fa, a dicembre, ha avuto luogo nel Teatro di Teramo – gremitissimo, perché il pubblico c’è sempre stato e sempre ci sarà – la 17esima edizione del Festival Pigro a lui dedicato. NeIvan-Graziani esisteva anche una versione primaverile a Bolognano (Pescara): oggi non esiste né l’una né l’altra. A Teramo, lo scorso dicembre, sfilarono tra gli altri Cristiano De André e Enzo Decaro, Fausto Mesolella e il figlio Filippo, la cui voce è davvero vicina al timbro – pure quello personalissimo – del padre. Fu una festa, in parte rovinata da una conferenza stampa tesa. Il sindaco Maurizio Brucchi (Forza Italia, secondo mandato) e l’assessore alla Cultura Francesca Lucantoni sottolinearono le difficoltà della serata gratuita (pare che il costo fosse 14mila euro ivate, di cui 3mila dal Comune) e presagirono un’edizione a pagamento nel 2015. Di contro, la famiglia Graziani lamentò la perdurante freddezza di Regione e Comune. Di lì a poco, per il concerto di Capodanno, la giunta ebbe la straordinaria pensata di spendere 37800 euro più Iva (sic) per il concerto di Marina Rei. Un flop fragoroso, per via del freddo e non solo. Secondo la Digos c’erano poco più di 250 persone, anche se l’assessore Lucantoni postò su Facebook una foto della piazza piena e scrisse con impeto involontariamente comico: “Nonostante la temperatura, in risposta alla solita blanda e patetica strumentalizzazione politica, ringrazio tutti coloro che hanno lavorato con grande spirito di squadra!”. Subito scoperta e zimbellata dal web (e dalFattoquotidiano.it), la Lucantoni provò a farfugliare che la foto non l’aveva scattata lei e che i soldi erano tutti derivanti da sponsor, anche se secondo il M5S “9mila euro erano stati sborsati da un ente pubblico come il Bim”. Un disastro fragoroso, che si poteva evitare facilmente: bastava invitare Filippo Graziani, che avrebbe garantito molta più gente e che oltretutto sarebbe costato assai meno. A parlar troppo di beghe così infime sorge però il sospetto di fare un torto ulteriore a Ivan Graziani, e sarebbe imperdonabile. Graziani è stato tante cose: chitarrista sontuoso e artista eclettico, pittore FullSizeRendere scultore, nonché disegnatore che a inizio carriera si arrabattava tra esperienze pop di pregio (Anonima Sound) e fumetti quasi-porno per riviste svedesi con tanti “pupazzetti scopatori”. Ora lirico – ma a modo suo – e ora boccaccesco, con un gusto tutto suo per la parola cantata e con un’inclinazione mirabile per i ritratti femminili (Agnese, Cleo, Dada, Angelina, Federica, Marta eccetera), resta
l’unico cantautore in grado di scrivere brani su uomini intenti a leggere sulla tazza del cesso (Io che c’entro) e far poesia con assoli di neanche trenta secondi (Olanda). Ivan Graziani ha toccato vette che ancora troppi faticano a vedere. Nella seconda metà dei Settanta era posseduto da un demone che lo ha portato a partorire dischi – semplicemente – perfetti come “Pigro” (1978) e “Agnese dolce Agnese” (1979), opere che da sole valgono più di mille Roberto Vecchioni. Gli anni Ottanta sono stati per molti cantautori un’ecatombe creativa e pure lui ha sofferto, andando per esempio al Sanremo ’85 con una canzone che giustamente non piaceva neanche a lui (Franca ti amo), ma ad averne oggi di Limiti e di Navi, per non parlare della ispirata risciacquata nel rock di fine decennio (Ivangarage). Quanta follia geniale c’è nella sua Motocross, quanta crudezza di provincia nella sua Fango. E come vola alta quella perla inaudita chiamata Fuoco sulla collina. Difficile passare senza smarrirsi da “Ivette senza tette”, “capelli fermi come il lago” e “parole appese a un gancio come quarti di vitello”: difficilissimo, ma a lui riusciva. Non ci è dato a oggi sapere se la giunta di Teramo tornerà sui suoi passi: sarebbe bello, e sarebbe il minimo. Se ciò non accadrà, sarà solo un altro esempio di ignoranza crassa. Pazienza: vorrà dire che la festa di compleanno la faranno, e faremo, altrove.