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Pescara, 24/11/2024
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21/09/2015
Il Centro
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Pensione in anticipo, Padoan non chiude. Il ministro e Renzi negano contrasti, i tecnici sono al lavoro. Legge di stabilità, caccia alle coperture per Tasi e jobs act. |
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Il cantiere pensioni resta aperto ma la soluzione ora è tutta politica. E se il ministro dell’economia Pier Carlo Padoan ripete che «toccare quel capitolo è un rischio ma è possibile trovare dei correttivi per chi è in difficoltà con il lavoro», dalle parti di Palazzo Chigi l’invito ai “tecnici” e di trovare una soluzione per concedere qualche anno di sconto sulla Fornero. «Consentire a quelle nonne che vogliono godersi i nipoti di lasciare il lavoro con una pensione più bassa» è la formula semplificata di Renzi sulla flessibilità in uscita. Ma non c’è contrapposizione tra questo e ciò che afferma il ministro Padoan, precisano dal ministero dell’economia, «il governo è coeso e impegnato a trovare soluzioni possibili e compatibili con i vincoli di finanza pubblica». In questi giorni si faranno le simulazioni delle ipotesi allo studio con due obiettivi: la reintroduzione della “opzione donna” e una flessibilità limitata ai disoccupati che a due tre anni dalla pensione non trovano più lavoro. Nel primo caso ci sarebbe l’uscita anticipata a 57 anni e 35 anni di contributi, che però avrebbe una penalizzazione pesante (calcolata totalmente con il sistema contributivo) di circa il 25-30 per cento dell’assegno. Il secondo intervento avrebbe una platea molto limitata e consentirebbe di risolvere anche l’ultima emergenza, la settima salvaguardia degli esodati, che avrebbe comunque la necessità di essere coperta tra i capitoli dell’ex finanziaria. Allo studio un “mini prestito” di alcune centinaia di euro da restituire quando si prenderà la pensione. I tecnici stanno valutando se le soluzioni possono essere “autofinanziate” all’interno della spesa previdenziale con un prelievo maggiore sulle pensioni alte che la Consulta non aveva bocciato. Cominciano intanto a essere definite le misure della legge di stabilità, incorniciate dai numeri del Def licenziato dal governo e che dovrà essere pronta per il 15 ottobre. L’intervento più importante vale poco meno di 17 miliardi di euro e servirà a disinnescare le clausole di salvaguardia dello scorso anno: aumento dell’Iva e delle accise. 5 miliardi serviranno per cancellare la Tasi per la prima casa, l’Imu agricola e i macchinari imbullonati. Dovrà essere rifinanziata la decontribuzione per i nuovi assunti prevista dal Jobs act e il rinnovo del contratto degli statali. Incentivi per gli investimenti al sud e sgravi fiscali per le imprese del mezzogiorno si accompagneranno a misure per il contrasto alla povertà con il “reddito d’inclusione sociale”, un assegno di circa 400 euro. Oltre alle misure finanziate in deficit, che saranno oltre la metà dei totali 27 miliardi, il governo punta a recuperare risorse con la revisione della spesa con tagli ridotti dai 10 miliardi iniziali a 8,5. Dai due ai tre miliardi potrebbero arrivare anche dalla digital tax, se dovesse essere anticipata al 2016. In attesa dei dati sulla denuncia dei capitali all’estero, il governo punta ad aumentare il gettito attraverso un piano anti evasione per aggredire il volume delle imposte non pagate. Nelle medie calcolate negli ultimi cinque anni, ammonta a 91,7 miliardi di euro e per quest’anno il Def prevede un recupero di ulteriori 2,3 miliardi fino a quota 14. Nel mirino le frodi con pene più severe, cambierà la strategia sui controlli alle grandi e medie imprese e per gli autonomi sono già partite 210 mila lettere ai contribuenti per cui sono emerse anomalie tra le dichiarazioni e le verifiche bancarie.
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