ROMA Lavoratrici e disoccupati. Resta centrata su queste due categorie l’attenzione del governo, in vista di possibili ritocchi alle regole previdenziali. Sull’opportunità di studiare un assetto più flessibile ieri è tornato lo stesso presidente del Consiglio, sottolineando che si tratta di trovare una soluzione «di buon senso». Renzi ha premesso di condividere l’impostazione del ministro Padoan, in base alla quale l’intervento non può compromettere «i conti pensionistici» ovvero l’equilibrio di bilancio assicurato dalle norme attualmente in vigore. Dunque si cercano meccanismi che non alterino la riforma Fornero ed abbiano anche nell’immediato costi se non nulli almeno molto contenuti. Se questo è l’obiettivo, viene ritenuta troppo generosa la proposta di legge già formalizzata in Parlamento che prevede una decurtazione del trattamento previdenziale pari al 2 per cento l’anno, per ogni anno di anticipo rispetto all’età di riferimento (ovvero i 66). In un’ottica di equità attuariale la percentuale di penalizzazione andrebbe portata almeno al 3,5 per cento, anche se non è detto che sia sufficiente. Ipotizzando un anticipo massimo di 3 anni, a partire dai 62-63, il taglio dell’assegno arriverebbe quindi al 10 per cento. Questo schema potrebbe essere applicato sia alle donne, o quanto meno a una parte della platea femminile, sia a quei lavoratori maschi che hanno perso il posto quanto appunto mancavano 2-3 anni al traguardo della pensione.
SALTO DI DUE ANNI
Nel caso delle lavoratrici, si tratterebbe di un potenziamento dell’attuale “opzione donna”. Questa clausola, nata nel 2004 come eccezione rispetto alla riforma approvata quell’anno, prevede la possibilità di accedere alla pensione già con 57 anni e 3 mesi per le dipendenti (e un anno di più per le autonome) purché ci siano almeno 35 anni di contributi. Il trattamento economico viene però integralmente ricalcolato con il sistema retributivo, il che può portare ad una penalizzazione anche del 25-30 per cento nei casi più sfavorevoli. Un taglio del 10 per cento risulterebbe naturalmente più digeribile, pur se riferito ad un’età di uscita più avanzata. Tanto più che le lavoratrici private saranno interessate il prossimo anno, proprio in base alla “scaletta” della riforma Fornero, da un salto di quasi due anni dell’età per la vecchiaia, da 63 anni e 9 mesi a 65 e 7 mesi (mentre i maschi e le dipendenti pubbliche sono già oltre i 66). Potrebbe però suscitare qualche dubbio l’ipotesi di prevedere un trattamento radicalmente diverso per uomini e donne; di certo nel caso dei lavoratori la flessibilità andrebbe limitata a coloro che si trovano in grave difficoltà occupazionale. Per fronteggiare queste situazioni restano comunque in pista altri strumenti come il prestito pensionistico e una nuova salvaguardia a beneficio degli esodati.
In ogni caso bisognerà affrontare il tema dell’eventuale copertura finanziaria nell’immediato, legata alle maggiori uscite che si determinerebbero: la soluzione più facile, ma anche politicamente più delicata, resta un ampliamento della platea interessata dal contributo di solidarietà, attualmente applicato alle pensioni che superano i 90 mila euro l’anno.