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Pescara, 24/11/2024
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Data: 24/09/2015
Testata giornalistica: Il Messaggero
Pensioni, il governo stringe sulla platea. Le simulazioni: per chi lascia a 63 anni la penalizzazione si aggiunge all’effetto anticipo: il taglio complessivo è del 20%.

Oggi Padoan e Poletti in Parlamento: soluzione per gli esodati tra le lavoratrici potrebbero essere privilegiate quelle con i figli.

ROMA Una soluzione per gli esodati e in generale per i disoccupati anziani che non riescono a trovare una nuova collocazione lavorativa. E una forma di flessibilità per le lavoratrici vicine al traguardo della pensione, a beneficio di una platea ancora da definire ma probabilmente non generalizzata: potrebbero essere privilegiate le donne con figli. Ruota intorno a queste linee guida il lavoro del governo, in vista del possibile inserimento nel testo della legge di Stabilità di norme che attutiscano, seppur limitatamente, gli effetti della legge Fornero. Oggi si inizieranno a scoprire le carte: i ministri Padoan e Poletti riferiranno in Parlamento sul tema degli esodati, per i quali è all’esame della Camera una settima salvaguardia dopo le sei già attuate in questi anni. Il primo punto è proprio l’accertamento della disponibilità per la nuova operazione dei fondi avanzati dalle precedenti, disponibilità che a giudizio del ministero dell’Economia non è automatica. Ma questa sarà l’occasione per fare il punto sulle altre possibili iniziative, anche se poi il governo potrebbe riservarsi ancora qualche altro giorno per elaborare una soluzione definitiva. Lo stesso Poletti, che ieri con Padoan ha affrontato la questione a Palazzo Chigi nell’ufficio del sottosegretario De Vincenti, ha messo in guardia contro il rischio che si creino aspettative eccessive. Ieri sull’argomento è intervenuta l’Abi, che vede di buon occhio una norma che ammorbidisca i requisiti attuali: le banche finora hanno usato il fondo di settore per i prepensionamenti, ma vorrebbero attuare ulteriori operazioni di ricambio generazionale.
L’INTERESSE DELLE BANCHE
Proprio l’Abi si è espressa a favore di un allargamento della cosiddetta opzione donna, la possibilità prevista per le lavoratrici di andare in pensione prima con un assegno più basso. Le ipotesi circolate in questi giorni comprendono un’uscita a partire dai 63 anni di età, invece dei 66-67 anni che saranno la soglia della vecchiaia nei prossimi anni: una soluzione che le potenziali interessate esamineranno alla luce del sacrificio economico richiesto. Come emerge dalle simulazioni riportate in questa pagina ed elaborate da Progetica, società indipendente di consulenza in educazione e pianificazione finanziaria, la riduzione dell’assegno sarebbe doppia: a quella derivante dal solo anticipo dell’uscita, che produce di per sé una pensione più bassa a causa dei minori versamenti contributivi, si aggiungerebbe l’eventuale penalizzazione necessaria per compensare nel medio-lungo periodo i maggiori esborsi a carico del bilancio dello Stato, dovuti alla maggiore spesa ed ai minori contributi incassati: quest’ultima da sola si aggira intorno al 10 per cento, ma la percentuale complessiva è più o meno doppia. Così ad esempio una dipendente con una possibile pensione piena di 1.730 euro netti mensili lasciando a 63 anni dovrebbe accontentarsi di 1.361, importo più basso dell’11 per cento di quello (1.527 euro) che sarebbe percepito alla stessa età senza una penalizzazione esplicita. Uno schema simile potrebbe essere applicato anche ai lavoratori uomini in difficoltà, per i quali sono comunque allo studio anche strumenti diversi, con costi più contenuti: una nuova salvaguardia ed il cosiddetto prestito pensionistico.

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