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Data: 27/09/2015
Testata giornalistica: Il Messaggero
Subito il prepensionamento per esodati, donne e disoccupati. Dal 2018 per tutti. Ipotesi di assegni pensionistici anticipati dalle aziende. Risorse dai fondi non spesi.

ROMA Tra Palazzo Chigi e il ministero del Tesoro la parola d’ordine è «cautela». Il timore, sulle pensioni, è di creare aspettative che poi possano andare deluse. Il governo sta lavorando ad inserire una “dose” di flessibilità all’interno della legge di Stabilità che sarà presentata entro il 15 ottobre. Ad oggi quanto in avanti ci si potrà spingere con la flessibilità non è ancora stabilito. Dipende da molti fattori, il principale dei quali sono i costi per le casse dello Stato. La decisione finale sarà presa in un vertice in settimana, probabilmente maercoledì, tra Matteo Renzi e i ministri Giuliano Poletti e Pier Carlo Padoan. Ieri il premier ha detto di sperare in un intervento in stabilità, «con buon senso e ragionevolezza». Padoan ha chiarito che la riforma non può essere a costo zero. La ragione è semplice. Nei conti economici nazionali è previsto che l’Inps incassi un certo numero di contributi e paghi un certo numero di pensioni. Se l’età per lasciare il servizio viene anticipata, l’Inps dovrà pagare da subito più pensioni incassando meno contributi. Questo vale anche se sugli assegni previdenziali viene applicata una penalizzazione.
I NODI RIMASTI
Dunque, almeno nei primi anni di flessibilità, va trovata una copertura finanziaria. E per trovarla i tecnici sono al lavoro da tempo. L’idea di base è quella di recuperare le risorse dai soldi non spesi per le vecchie salvaguardie degli esodati. Lo Stato ha stanziato quasi 12 miliardi di euro per tutelare circa 170 mila persone. Le domande accettate, come ha ricordato Padoan in Parlamento qualche giorno fa, sono poco più di 120 mila, mentre le pensioni ad oggi liquidate agli esodati sono circa 87 mila. Secondo alcuni calcoli, al momento le risorse stanziate e non spese sarebbero circa 500 milioni di euro. In realtà il risultato finale potrebbe essere maggiore, fino a 700-800 milioni. Si tratta di somme che, per ora, sono finite «in economia», ossia a beneficio del bilancio pubblico. Bisognerà trovare un modo per recuperarle. Certo è che 800 milioni, o anche un miliardo, non permettono di introdurre una flessibilità generalizzata, che avrebbe costi più elevati, almeno 4 miliardi. L’ipotesi, dunque, è quella di una misura in due tempi. Verrebbe, innanzitutto, fissata una regola generale per uscire anticipatamente dal lavoro. Dal prossimo anno per lasciare l’impiego serviranno 66 anni e 7 mesi. L’idea sarebbe quella di permettere di anticipare fino a tre anni il pensionamento (dunque a 63 anni e 7 mesi), con almeno 35 anni di contributi e avendo maturato una pensione pari ad almeno 1,8-2 volte quella minima. Chi anticipa la pensione, tuttavia, non avrebbe un assegno pieno, ma decurtato di una percentuale annua tra il 3 e il 3,5%. La possibilità di uscire anticipatamente sarebbe data a tutti i lavoratori, ma non da subito, solo tra qualche anno, probabilmente dal 2018, quando lo scalone introdotto dalla legge Fornero sarà stato praticamente riassorbito. Nell’immediato, invece, ci sarebbero alcune platee di persone che potrebbero accedere ai prepensionamenti: gli ultimi esodati, le donne con figli e i disoccupati senza altri redditi. Accanto a questa, c’è un’altra ipotesi alla quale i tecnici stanno lavorando. Un’ipotesi che, nonostante le parole di Padoan, avrebbe la suggestione del «costo zero» per le casse dello Stato.
L’ALTRA VERSIONE
Si tratta di una versione riveduta e corretta del prestito pensionistico. A sostenere i costi del prepensionamento sarebbero sostanzialmente le aziende che vogliono svecchiare la propria manodopera. Dovrebbero continuare a pagare i contributi per i lavoratori che lasciano in anticipo il lavoro e versargli anche la pensione. Questa, tuttavia, verrebbe restituita in piccole rate dagli stessi lavoratori alle imprese una volta maturati i requisiti per ottenere l’assegno dell’Inps. Insomma, a prestare i soldi ai lavoratori che vogliono uscire prima sarebbero le aziende e non l’Istituto di previdenza. Sul fronte previdenziale la Stabilità, poi, dovrà anche stanziare circa 500 milioni per pagare gli adeguamenti dovuti alla sentenza della Consulta che ha dichiarato illegittimo il blocco. Questo significa che il conto per la previdenza della manovra sarà di circa 1,5 miliardi.

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