Iscriviti OnLine
 

Pescara, 24/11/2024
Visitatore n. 740.933



Data: 29/09/2015
Testata giornalistica: Il Messaggero
Alitalia, 8 anni di carcere all’ex ad Cimoli. Condannato per bancarotta e manipolazione del mercato al processo per il dissesto finanziario della vecchia società. Il grande buco tra alleanze mancate e inutili ricapitalizzazioni pubbliche

Cinque anni di reclusione per Mengozzi, sei anni per altri due dirigenti. Pene più pesanti di quanto chiesto dai pm.

LA SENTENZA

ROMA Per gli imputati accusati della mala gestio di Alitalia, responsabili degli sprechi che «ci costano ancora una tassa come cittadini e come passeggeri», neppure la procura aveva chiesto pene tanto alte. E invece, per quel crac da 4,7 miliardi di euro della compagnia di bandiera, la sentenza dei giudici della sesta sezione del Tribunale di Roma è arrivata pesantissima: otto anni e otto mesi di reclusione per Giancarlo Cimoli, presidente e ad Alitalia dal maggio 2004 al febbraio 2007, sei anni e sei mesi a Pierluigi Ceschia, ex responsabile del settore Finanza straordinaria, sei anni Gabriele Spazzadeschi, già dg del settore Amministrazione e finanza, cinque anni a Francesco Mengozzi, ad dal febbraio 2001 a febbraio 2004. Per tutti l’accusa è di bancarotta.
A Cimoli è stato contestato anche un episodio di aggiotaggio per la diffusione, tra il novembre 2005 e la primavera 2006, di notizie false, idonee a provocare una sensibile alterazione dei valori del titolo Alitalia. I giudici hanno anche stabilito che gli imputati risarciscano per oltre 355 milioni di euro (160milioni solo Cimoli) un migliaio di parti civili, che si erano costituite nel processo. Assolti, per non aver commesso il fatto, gli ex funzionari Giancarlo Zeni e Leopoldo Conforti, mentre i fatti contestati a Gennaro Tocci, già responsabile del settore Acquisti e Gestione Asset Flotta, «non costituiscono reato».
LE PENE
I 355 milioni di euro che gli imputati dovranno risarcire in solido sono destinati, tra gli altri, ad Alitalia Linee Aeree Italiana spa, Alitalia Servizi spa, Alitalia Airport spa, Alitalia Express spa e Volare spa, rappresentate dai commissari straordinari pro tempore. Nel lungo elenco ci sono anche azionisti e obbligazionisti, alcuni dipendenti e Federconsumatori. Cifre che vanno dai 1500 euro ai 73 mila euro. Ai condannati sono state concesse le attenuanti generiche, ma sono stati interdetti in perpetuo dai pubblici uffici e rimarranno in stato di interdizione legale per tutta la durata della pena. Cimoli, che dovrà pagare anche una multa di 240 mila euro, è stato anche interdetto per un anno dalla possibilità di assumere cariche direttive presso le imprese.
Sei anni di reclusione per Giancarlo Cimoli e tre anni per Francesco Mengozzi. Queste, lo scorso giugno, erano state le richieste del procuratore aggiunto Nello Rossi e dei pm Stefano Pesci e Francesca Loi per i due ex amministratori delegati di Alitalia, coinvolti nel fallimento della compagnia, avvenuto nel 2008. «Ancora oggi paghiamo per gli sperperi in Alitalia: paghiamo una tassa come cittadini e come passeggeri - aveva detto Rossi durante la requisitoria - Di questa vicenda, caratterizzata dalla gravità dei fatti, sono impressionanti i dati economici e sociali per l'enorme danno causato alla collettività. Si è trattato di una vicenda enorme per l'entità delle somme di denaro, versate in Alitalia dallo Stato, che sono state perdute e per le cifre del dissesto e della bancarotta».
«NESSUN CONTROLLO»

L'Alitalia, aveva aggiunto il magistrato, è «una società per azioni che non è mai stata sottoposta a controlli, ha scelto manager sulla base di rapporti privatistici e privati, ha portato avanti scelte aziendali che non erano sindacabili e ha attratto obbligazionisti e azionisti senza avvisarli che stavano entrando in un carrozzone burocratico». Erano sei gli episodi di bancarotta contestati: la gestione del settore Cargo, lo spezzatino tra Alitalia Fly e Alitalia Servizi, l'acquisto di Volare Group, la vendita di Eurofly, la vendita di alcuni MD80, la consulenza straordinaria da 50,8 milioni di euro affidata a McKinsey.


Il grande buco tra alleanze mancate e inutili ricapitalizzazioni pubbliche

ROMA «Alitalia più vola e più perde». Un milione di euro al giorno per la precisione. Era questa l’Alitalia raccolta a febbraio del 2001 da Francesco Mengozzi e pilotata da maggio del 2004 a febbraio del 2007 da Giancarlo Cimoli. Ma qualcun altro negli stessi anni la ricorda come la compagnia che «più perdeva e più faceva lievitare i bonus dei manager».
In sette anni di rosso, con la sola eccezione del 2002, le perdite accumulate arrivano a 3,468 miliardi secondo la ricostruzione dell’ufficio studi di Mediobanca. Anni di zero dividendi e di ricapitalizzazioni da 2,4 miliardi. Circa 860 i milioni sborsati dal Tesoro soltanto i quegli anni. Risorse fresche che servirono a poco.
È il capitolo finale, quello setacciato dal Tribunale di Roma, quello che comincia dopo il traumatico divorzio tra Alitalia e Klm (aprile 2000), e dopo le dimissioni di Domenico Cempella nel febbraio 2001. Negli anni anche del disastroso avvio di Malpensa.
PERDITE SENZA FINE

Alla cloche viene chiamato Francesco Mengozzi. All’ex alto dirigente delle Ferrovie dello stato l’azionista, il governo Amato affida una missione precisa: trovare subito un alleato internazionale. Ma con Swissair in affanno sembra che Air France sia l’unico partner con cui avviare i colloqui. Alitalia non è in gran forma, da anni inanella perdite su perdite. Così Mengozzi non ci pensa troppo e a luglio del 2001 è pronto lo scambio azionario del 2% con Air France, con tanto di alleanza Skyteam. La consolazione di quell’accordo sbilanciato a favore dei francesi è che Alitalia non si trova ad affrontare da sola la drammatica crisi seguita all’11 settembre. L’intesa con Air France deve essere un prologo alla fusione, ma due anni dopo nel 2003, Spinetta conclude a sopresa un accordo con Klm.
Nel frattempo Mengozzi ha provato a tamponare gli effetti dell’11 settembre. Ne fanno le spese diverse rotte del network intercontinentale, come quelle per Hong Kong, Pechino, Bangkok, San Francisco. L’assegno da 250 milioni da Klm mette una pezza ai conti. E accerchiato dalle low cost, Mengozzi prova a tagliare i costi riducendo gli equipaggi a bordo, ma è travolto da una valanga di certificati medici. Poi riesce a portare ossigeno in cassa a giugno 2002 (1,4 miliardi), ma non fa in tempo a investirli.
A settembre 2003, il nuovo piano, bocciato, con tanto di outsourcing di alcune attività. E a febbraio del 2004 Mengozzi è già impallinato dai sindacati. Oltre che dalla Lega Nord che, con Giuseppe Bonomi presidente Alitalia, teme l’impatto su Malpensa dell’alleanza con i francesi.
A maggio l’ex sottosegretario Gianni Letta, chiama il numero uno delle Ferrovie, Giancarlo Cimoli, ribattezzato “Mister Diesel”, a risanare i conti. Cimoli ha carta bianca, ottiene 400 milioni di prestito ponte. E a settembre 2004 ottiene anche il consenso dei sindacati al piano: 3.679 esuberi e la separazione da Az Fly (volo) di Az Servizi (manutenzione).
A dicembre 2005 (l’anno dell’acquisizione di Volare) il varo della nuova ricapitalizzazione da un miliardo. Il 2006 doveva essere l’anno del ritorno all’utile, invece si chiude in rosso per circa 400 milioni. A febbraio 2007 anche la gestione Cimoli arriva al capolinea.

www.filtabruzzo.it ~ cgil@filtabruzzo.it