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Pescara, 27/11/2024
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Data: 30/09/2015
Testata giornalistica: Il Messaggero
Pensioni, il governo accelera. Nodo dei costi sulla flessibilità. Oggi probabile vertice a Palazzo Chigi Due ipotesi per rivedere la legge Fornero. Boeri: sempre più pensionati si spostano all’estero, da tagliare gli assegni assistenziali.

ROMA Il governo prova a stringere sulla riforma delle pensioni. Già oggi potrebbe esserci un vertice politico tra il premier Matteo Renzi e i due ministri che stanno lavorando a trovare una soluzione tecnica per introdurre un principio di flessibilità alla riforma Fornero, ossia il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan e quello del lavoro Giuliano Poletti. Fino a ieri sono proseguite le riunioni a livello tecnico per effettuare le simulazioni e trovare una soluzione che abbia un costo non eccessivo per le casse dello Stato. La decisione finale, come sempre accade, sarà comunque politica e spetterà direttamente a Renzi. Sul tavolo ci sarebbero, in sostanza, due ipotesi. Una ritenuta più probabile ed un’altra considerata una sorta di piano B. Quella ritenuta più probabile è l’introduzione di un principio generale di flessibilità nella legge Fornero. Si consentirebbe di lasciare il lavoro fino a 3 anni di anticipo avendo maturato almeno 35 anni di contribuzione e un assegno pari ad almeno 1,8-2 volte il minimo. Sull’assegno anticipato, verrebbe applicata una penalizzazione tra il 3 e il 4% per ogni anno di anticipo. Questa regola generale entrerebbe in vigore non subito, ma tra qualche anno, probabilmente nel 2018, dopo che lo scalone della legge Fornero sarà riassorbito.
LE NUOVE REGOLE
Da subito, invece, potrebbero utilizzare le nuove regole alcune platee di lavoratori considerati svantaggiati, a cominciare dagli ultimi esodati. Il nuovo meccanismo verrebbe applicato anche alle donne (non tutte, probabilmente sarebbero inserite delle limitazioni) e ai disoccupati senza altri redditi o ammortizzatori. La seconda alternativa, le cui quotazioni sarebbero in ribasso, è quella del prestito pensionistico pagato dalle aziende. Si tratta di un assegno di circa 750 euro al mese che verrebbe pagato dalle imprese ai lavoratori che vogliono anticipare l’uscita dal lavoro (ai quali l’azienda continuerebbe anche a versare i contributi), che il lavoratore dovrebbe restituire però a rate sulla pensione una volta raggiunti i requisiti ordinari per ricevere quella dell’Inps. Il vantaggio di questo sistema è il costo zero per le casse dello Stato. C’è infine un altro nodo da sciogliere: se inserire le norme direttamente nella legge di Stabilità o in un disegno di legge collegato che avrebbe inevitabilmente un percorso più lento.
IL RAPPORTO
Intanto mentre si discute sul futuro del sistema previdenziale, l’Inps ha disegnato un quadro dettagliato di un particolare segmento di questo sistema, ovvero le pensioni pagate all’estero. In tutto sono circa 400 mila trattamenti pensionistici, per un importo complessivo di oltre un miliardo di euro, che vengono erogati in più di centocinquanta Paesi. In questo ambito si possono trovare alcune situazioni paradossali, che hanno spinto il presidente Boeri a fare alcune proposte. Ad esempio, quella di sospendere il pagamento della parte non contributiva delle pensioni (integrazioni al minimo e maggiorazioni sociali) ai pensionati italiani che vivono all’estero e pagano le tasse in quei Paesi. L’Italia è uno dei pochi Paesi che riconosce la portabilità di questa componente della pensione, mentre - fa osservare Boeri - «non abbiamo una rete di assistenza sociale di base». La platea di questi soggetti non comprende solo lavoratori che erano emigrati in passato, ma anche pensionati che decidono di trasferirsi in un Paese estero e farsi pagare la pensione là. Un flusso crescente che suggerisce a Boeri di «investire in servizi per anziani al fine di ridurre la fuga dei pensionati ed attrarre pensionati dall’estero».
Ci sono poi anche gli stranieri venuti a lavorare in Italia. Sono circa 200 mila quelli che avendo superato l’età della pensione della vecchiaia non hanno diritto ad alcuna prestazione perché non hanno raggiunto il minimo di versamenti. I loro contributi, capitalizzati, valgono 3 miliardi. L’idea è ricavarne un fondo per investire su politiche dell’integrazione degli immigrati.

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