ROMA «Siccome il pallone non è quello che voglio giocare io, allora non gioco più e me ne vado. È uno strano modo di intendere i negoziati». Susanna Camusso (Cgil), in vena di metafore calcistiche, risponde con gli altri due leader confederali, Carmelo Barbagallo (Uil) e Annamaria Furlan (Cisl), alla chiusura delle trattative sul rinnovo dei contratti collettivi annunciata dal presidente di Confindustria Giorgio Squinzi. Dietro la quale, a forza di paragoni, s’insinua l’ombra del governo e della legge sul salario minimo che, secondo Furlan, significherebbe «la fine del contratto nazionale». Il pallone, ossia l’oggetto del contendere, sarebbero i salari dei lavoratori, su cui almeno Camusso e Barbagallo giurano di non arretrare di un centimetro. Non c’è bisogno di una politica di abbassamento dei salari - prosegue la segretaria generale della Cgil -, anche il Fondo monetario internazionale ha recentemente detto che uno dei temi e delle necessità per la ripresa è l’aumento dei salari. La nostra non è una crisi di esportazione, ma di mercato interno». Quella dei contratti è una partita che va risolta ad ogni costo nei prossimi tre mesi. «Ci sono 7 milioni di lavoratori che aspettano di vedersi il contratto rinnovato entro l’anno - spiega Barbagallo - se non si ridà il segnale di riprendere la contrattazione nazionale, quello che viene fuori può essere pericoloso per il Paese». Pericoloso perché negli occhi di tutti ci sono le immagini dei lavoratori dell’Air France che assaltano i manager. «L’alternativa al sindacato confederale - sintetizza Furlan - sono quelle immagini lì». Se almeno la palla in gioco è chiara, non è altrettanto limpido il campo delle trattative. «Se si possiede una squadra - spiega ancora Camusso - e poi si tifa per un’altra, forse poi si fa confusione nei ruoli. Invece di tifare per le parti sociali si finisce per tifare per il governo, questo penso sia un tema che riguarda Confindustria». Barbagallo accusa gli industriali di aver condotto le trattative allo specchio. «La Confindustria è da luglio che fa tutto da sola - riassume il segretario Uil - prima apre, poi fa filtrare le voci di un accordo, poi chiude la discussione. In quest’ultima fase sta dando un assist a coloro che dentro il governo e il Parlamento pensano di regolare diversamente i rapporti fra le parti sociali. Io continuo a sperare che rinsaviscano un poco». È il ministro del Lavoro Giuliano Poletti a non escludere un intervento in caso di fallimento del tavolo. «Le parti sociali devono trovare un accordo, aspettiamo - ha dichiarato - ma non potremo aspettare in eterno: abbiamo bisogno di una contrattazione più vicina alle imprese e al territorio». In caso di intervento assicura che il governo cercherà «di interpretare l’interesse generale del Paese». Neanche tra i sindacati c’è piena intesa. Alla fine dell’intervento di Furlan, leader della Cisl, arriva la stoccata di Camusso: «Il suo è stato un comizio». E Barbagallo ammette che un’idea comune di un nuovo modello contrattuale ancora non c’è e dal summit dei tre filtra solo la volontà di proseguire la discussione. Nessuno, però, vuole accettare le imposizioni di Confindustria e governo. «L’idea che arrivi un decalogo su come si rinnovano i contratti - ragiona Camusso - non è lo stesso dell’autonomia delle categorie nel poter fare i rinnovi».