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Pescara, 23/11/2024
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Data: 08/10/2015
Testata giornalistica: Il Messaggero
Marino a un passo dalle dimissioni. Poi la scelta: pagherò i conti delle cene. Bufera per le note spese, i fedelissimi gli consigliano di lasciare. Lui: darò io 20mila euro. Pronta una mozione di sfiducia, numeri in bilico. Renzi: «Ma così non può durare» E mette in conto il voto a maggio

ROMA La scena è già rivista: Campidoglio versione bunker e il suo inquilino, Ignazio Marino, che cerca ancora una volta una via d’uscita. E alla fine la trova con due mosse: pagherà di tasca propria non solo le contestate spese di rappresentanza, ma tutte, e rinuncerà alla carta di credito agganciata alla tesoreria del Campidoglio. La decisione è combattuta, però. E arriva al termine di una giornata sulle montagne russe. Con lo staff del sindaco a caccia di «giustificativi» e testimoni per sette cene che non tornerebbero. Questa volta non sono le multe della Panda Rossa (negate e poi alla fine saldate) e nemmeno l’onorario della Temple University (disdetto alla fine). Questa volta, davanti agli scontrini che non tornano, il sindaco è pronto a mollare. «Mi fermo qui, c’è un’aggressione violentissima nei miei confronti. Cercano mia madre che ha 90 anni e telefonano a mia figlia a Londra».
I FEDELISSIMI
Il cerchio magico - l’assessore Alessandra Cattoi e quello alla Legalità Alfonso Sabella - gli consiglia di fare un passo indietro: «Ignazio, è per il tuo bene e per quello della tua famiglia». Sono ore drammatiche. La parola «dimissioni» passa di bocca in bocca in Campidoglio. Marino è pronto a lasciare: «Datemi due ore». Anche il prefetto Franco Gabrielli è allertato: toccherebbe a lui, probabilmente, traghettare la Città eterna attraverso l’apertura della Porta Santa per il Giubileo (l’8 dicembre) con vista sulle prossime elezioni. Matteo Orfini, il commissario del Pd romano che non vuole parlare di scontrini ma di politica, ha un appuntamento in serata con Matteo Renzi. Poi il gabinetto di guerra di Palazzo Senatorio prova l’ultima, disperata mossa, affidata a una nota del sindaco: pagare tutto, restituire la carta di credito e andare avanti, provando a veleggiare di bolina nell’occhio del ciclone. «In questi due anni - fa sapere Marino - ho speso con la carta di credito messa a mia disposizione dal Comune meno di 20.000 euro per rappresentanza, e li ho spesi nell’interesse della città. È di questo che mi si accusa? Bene, ho deciso di regalarli tutti di tasca mia a Roma e di non avere più una carta di credito del Comune a mio nome». Per questa mattina ha dato mandato alla Ragioneria di calcolare «al centesimo le spese di rappresentanza pagate con la carta di credito» e poi staccherà l’assegno per l’intera cifra, «ivi compresi quei 3.540 euro investiti nella cena con il mecenate Usmanov» che hanno portato 2 milioni per i Fori Imperiali. Poi Il sindaco riunisce la giunta - per parlare di Atac, altro bubbone esploso in città - e alla fine chiede a tutti i suoi assessori: «Che ne pensate? Ho fatto bene?». E’ notte quando esce dal Comune con la scorta. E’ «turbato», come racconta Sabella.
LO SCONTRO
Nel Pd la voglia di mollarlo ormai va oltre i retroscena. Il deputato renziano Michele Anzaldi parla di «stillicidio quotidiano». L’opposizione è scatenata. Il M5S coglie la palla al balzo sperando nel colpaccio. Alessandro Di Battista: «Marino mente sulle cene, figuriamoci su Mafia Capitale». Roberta Lombardi, addirittura, si autocandida. Alfio Marchini twitta: «Marino è un finto eroe, cinico e furbone». Con Matteo Orfini i rapporti sono tesi, anche se legati tra loro. Per tutta la giornata si sentono, tra urla e incomprensioni. Finita qui? Non proprio. Adesso Sel, l’ala rossa della coalizione, è pronta a presentare una mozione di sfiducia. Dagli esiti imprevedibili.


Renzi: «Ma così non può durare» E mette in conto il voto a maggio. I vertici dem riuniti a oltranza: il timore di uno strappo traumatico contro il partito. Premier molto irritato: l’ipotesi di andare in tv a dire che Marino non c’entra con i democrat.

IL RETROSCENA
ROMA Ormai nessuno, ma proprio nessuno nel Pd è disposto a spendere una parola buona per lui. Attorno a Ignazio Marino si è stesa una coltre, un recinto. Il sindaco è rimasto solo, letteralmente solo, chiuso nella sua stanza a esaminare ricevute e scontrini (e qualcuno giura di aver saputo che ce ne sarebbero altri di dubbio uso). Finanche Matteo Orfini, il commissario romano nonché presidente del partito nonché guardia rossa e anche rossonera (calcisticamente parlando) del sindaco, l’avrebbe se non scaricato, comunque cominciato a prenderne le distanze. C’è chi lo ha sentito dire sconsolato «vi saluto, vado a occuparmi di scontrini», laddove qualche ora prima aveva dichiarato alla sua maniera «mi occupo di politica, non di scontrini». Raccontano pure che tra i due, Marino e Orfini, si sia consumata l’ultima partita, siano arrivati a un chiarimento nient’affatto pacifico ventiquattro ore prima. Insomma, ci sarebbe stata rottura.
Orfini è stato riunito più volte con Lorenzo Guerini al Nazareno. Presidente e vice segretario dem hanno esaminato la situazione, hanno valutato, soppesato, interpellato, si sono consultati, e alla fine hanno convenuto che una decisione, e nel giro di poco, bisognerà pure prenderla. Sì, ma quale? Per tutto il giorno era girata voce di dimissioni impellenti, e spontanee, del sindaco. Alla voce-notizia i più, nel Pd, facevano balenare lo sguardo, gli occhi brillavano, salvo poi tornare a incupirsi quando si apprendeva che erano, appunto, soltanto voci. Dunque?
Tutti guardano adesso a palazzo Chigi. Che farà, come si muoverà Matteo Renzi?, chiosava tra una votazione e l’altra alla Camera Davide Ermini, responsabile Giustizia del Pd nonché renziano d’acciaio. Renzi, al momento, non ha ancora deciso. Non se tenere Marino, quello è noto che non è nelle sue corde, fosse stato per il premier-segretario Ignazio non siederebbe neanche nello scranno più alto del Campidoglio.
IL CALENDARIO
Il problema è più arduo e più politicamente complesso, dal punto di vista del Pd e delle prospettive rispetto alla Capitale. In pratica: puntare alle dimissioni immediate di Marino, oppure, causa e tramite Giubileo, puntare su dimissioni differite, in primavera? Non è tanto e solo una questione di tempi: nel primo caso, significherebbe che per il Campidoglio i cittadini verrebbero chiamati a votare a maggio assieme agli altri comuni come Milano e Torino, con il rischio per il Pd di pagare una gestione rivelatasi negativa per non dire catastrofica; nel secondo caso, il sindaco rimarrebbe tale fino a fine febbraio, in modo da far scattare il commissariamento che eviterebbe le elezioni in primavera. Sembrava quest’ultima, fino a poco fa, l’ipotesi più gettonata. Ma via via che è passato il tempo, valutati i pro e i contro, valutato che anche il centrodestra non è che stia messo poi così bene, e valutato soprattutto che con Marino è difficile ormai, se non impossibile, andare a patti, figurarsi discutere una exit strategy, nel Pd si è fatta strada l’ipotesi del tutto e subito: puntare a elezioni in primavera. «Ma sì, a questo punto beviamo l’amaro calice, troviamo un buon candidato, lavoriamo bene e unitariamente, e puntiamo alle urne, non è detto che vada male», ragionano ormai apertamente alcuni deputati romani e non.
«Deve decidere Renzi», si è limitato a far sapere Orfini a chi lo ha interpellato. Il quale Orfini avrà anche il suo problema di non finire sotto le macerie mariniane. Tra i dem romani c’è un’altra preoccupazione, se ne fa portavoce Melilli, l’ex segretario regionale: «Speriamo solo che Marino non se ne vada buttando la croce addosso al Pd, lui è imprevedibile».
Nel Pd nazionale dicono che ormai «la partita è aperta». Nel senso che non viene esclusa nessuna ipotesi. In un angolo del Transaltlantico di Montecitorio non è sfuggito il lungo colloquio tra Orfini, Guerini e la Bonaccorsi, quest’ultima mai tenera con Marino ma che adesso evita di affondare il coltello. «I fatti parlano da soli, chiunque può capire chi aveva visto giusto e chi no», si limita a dire Bonaccorsi. Lo scoglio in sostanza rimane sempre e solo lui, Marino. Al punto che in serata è pure girata voce che Renzi potrebbe ricorrere all’arma finale: andare in tv, o comunque dire pubblicamente una cosa del tipo Marino non ha nulla da spartire con il Pd. Né cacicco, né capo locale, né rais capitolino: nulla.

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