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Pescara, 23/11/2024
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Data: 10/10/2015
Testata giornalistica: Il Messaggero
Marino ritarda l’addio. Il Vaticano: «Macerie». Rinviata a lunedì la formalizzazione delle dimissioni per avvicinarsi quanto più all’avvio del processo Mafia Capitale. Sponda di Sel. Democratici in allarme. Renzi vuole 9 commissari per Roma «Il sindaco? Ha fatto bene a lasciare».

ROMA Il conto alla rovescia per l’addio di Ignazio Marino al Campidoglio scatterà solo lunedì. Dopo aver annunciato giovedì sera l’intenzione di dimettersi, il chirurgo dem non ha ancora consegnato l’atto formale che farebbe scattare i venti giorni di tempo concessi dalla legge per un eventuale ripensamento. In serata, arriva la nota di Palazzo Senatorio: Marino «formalizzerà le sue dimissioni dall’incarico nella giornata di lunedì 12 ottobre, consegnandole nelle mani della presidente dell’assemblea capitolina, Valeria Baglio». A causare il ritardo, sussurrano i suoi più stretti collaboratori, sarebbe la voglia del primo cittadino uscente di lasciare il suo incarico a pochi giorni dall’avvio (previsto per il 5 novembre) del processo di Mafia Capitale.
LA SPACCATURA

Per Marino si tratterebbe di un’uscita simbolica, quasi a voler rappresentare il lavoro di pulizia nel Comune più volte rivendicato dal primo cittadino. Ma il ritardo scuote il centrosinistra romano: in molti lo attribuiscono a una guerra di nervi avviata con la sua maggioranza e in particolare con il Pd, il cui gruppo capitolino si è spaccato sull’ipotesi di dimissioni di massa dei consiglieri comunali, per velocizzare la caduta della giunta. Sel, questa volta, gioca di sponda con Marino: «Noi vogliamo andare avanti con il programma elettorale - dice il capogruppo Gianluca Peciola - è giusto chiedere al sindaco un cambio di rotta, la verità, il rispetto del mandato». I vendoliani adesso invitano il sindaco dimissionario a intervenire all’assemblea capitolina «per spiegare le sue ragioni e le sue eventuali proposte». La mossa sembra fatta su misura per creare problemi ai democrat, che adesso si sentono sulle spalle tutto il peso della cacciata del sindaco che aveva riconquistato il Campidoglio dopo i cinque anni del centrodestra di Gianni Alemanno.
LA GESTIONE

Ignazio Marino, confidano le persone a lui più vicine, non ha però intenzioni di tornare indietro sui suoi passi. Ieri ha passato la giornata a Palazzo Senatorio, nel suo studio con vista sui Fori, per portare avanti l’ordinaria amministrazione. Tanti i dossier che dovranno essere esaminati nella giunta di lunedì prossimo: a partire dal Giubileo, con la seconda tranche da 30 milioni di euro sbloccata ieri da Palazzo Chigi e i risparmi sulle prime gare d’appalto da utilizzare per nuovi cantieri. «Sto molto bene», dice ai giornalisti mentre si avvia, in mattinata, a celebrare un matrimonio in Campidoglio con fascia tricolore d’ordinanza. Gli sposi sono suoi amici. Lei, neanche a dirlo, è americana. Lui, sfoderando romanticismo, dedica alla coppia una poesia di Pablo Neruda il cui messaggio era: «Bisogna essere sempre uniti in ogni situazione». Nel pomeriggio ha anche una lunga conversazione via Skype con la figlia Stefania, che vive a Londra. Un colloquio che serve al chirurgo dem anche per sfogarsi e distendere i nervi dopo giornate durissime.
L’AFFONDO

Ma l’inquilino uscente del Campidoglio deve registrare anche le dure critiche dell’Osservatore romano. L’organo ufficiale della Santa Sede non fa giri di parole e sottolinea che «ora la Capitale, a meno di due mesi dall’inizio del Giubileo, ha la certezza solo delle proprie macerie». E Roma, sottolineano Oltretevere, «non merita tutto questo». A parte «i gesti inopportuni» e «la superficialità» dell’ex primo cittadino, il giornale del Vaticano fa notare le tante negative «certezze» della città, dalle infiltrazioni mafiose al «velo oscuro» sulla raccolta dei rifiuti, dall’inefficienza dei trasporti alla manutenzione delle strade che «fa sospettare che ci sia molto da indagare anche lì». Molto critico sull’operato del sindaco anche Avvenire: «Adesso basta. Roma merita onesta e decisa cura», indica il quotidiano della Conferenza episcopale italiana. Il giornale cattolico parla di anche di «infausto biennio».

Renzi vuole 9 commissari per Roma «Il sindaco? Ha fatto bene a lasciare». Il premier riceve Orfini: faremo noi tutto ciò che in città non è stato fatto finora.
«Dobbiamo essere pronti per votare a giugno». E a palazzo Chigi vede Pisapia.

IL RETROSCENA

ROMA «Abbiamo venti giorni per pensare ai nomi dei commissari. Si vota a giugno. Poi dovrete mettercela tutta per dimostrare che in pochi mesi si riesce a fare ciò che non è stato fatto sinora». Matteo Renzi chiude così l’incontro con il commissario del Pd romano. Matteo Orfini ieri pomeriggio è salito a Palazzo Chigi per fare il punto con il presidente del Consiglio - nonché segretario del Pd - sulla spinosissima vicenda romana.
CORRENTI
Malgrado i contorsionismi di Marino, che ha spostato a lunedì la firma delle sue dimissioni, i due Matteo considerano la questione archiviata e ieri hanno discusso del dopo. Scrive infatti Renzi oggi sull’Unità, nella risposta a un lettore: «Credo che al punto in cui eravamo non ci fossero più alternative. E dunque credo che Ignazio Marino abbia fatto bene a dimettersi. Adesso chi vuole bene a Roma la smetta con le polemiche e con le divisioni: ho fatto il Sindaco e so che ai cittadini interessa che si sistemino le strade e i giardini, non le liti tra correnti. Come Governo - continua - faremo tutto il possibile perché il Giubileo sia un successo. Del resto, quando abbiamo confermato Expo, nonostante tutti ci suggerissero il contrario, non ci credeva nessuno ma adesso i risultati parlano chiaro». Si guarda avanti, quindi, cercando di tenere unito il Pd e cercando anche un’interlocuzione a sinistra. Ovvero con Sel di Paolo Cento che era in giunta sino a qualche settimane fa. Tutti insieme, secondo Renzi, per battere la destra «che ha rovinato la Capitale per cinque anni» ed evitare a Roma «l’avventura» con i pentastellati che, sondaggi alla mano, risultano ora il primo partito. In buona sostanza, il presidente del Consiglio è convinto che la partita non sia chiusa e accetta la sfida delle urne che intende aprire a giugno in una tornata amministrativa con tutti i capoluoghi che vanno a scadenza. Rinvii ulteriori non sarebbero possibili, legge alla mano, e Renzi non ha nessuna intenzione di fare forzature in un decreto che comunque dovrà essere convertito dal Parlamento: grillini e leghisti non aspetterebbero altro. Per dare il senso di un netto cambio di passo dell’amministrazione, si lavora quindi sul nome del commissario e dei subcommissari. Nove, in tutto, che di fatto comporranno una giunta tecnica «molto operativa» che avrà di fatto carta bianca per preparare il Giubileo e sistemare alcune annose questioni e che avrà al suo fianco il governo. Se poi, in venti giorni, si troverà il modo di inserire nella rosa dei commissari anche il possibile candidato-sindaco, è questione tutta da vedere. Renzi - che ieri mattina ha anche incontrato a palazzo Chigi il sindaco di Milano Giuliano Pisapia - ieri ha smentito il ”no” alle primarie e di fatto ha anche negato, come dimostrano le parole riportate oggi dall’Unità, di voler fare tutto da solo. La sfida per il Campidoglio è per il Pd talmente ardua che a suo giudizio richiede lo sforzo di tutto il centrosinistra e non solo del Pd che a Roma continua ad essere commissariato e che registra un numero di iscritti in netta discesa. «Ragioniamo sui nomi possibili, poi decideremo insieme se e come fare le primarie», è il senso della linea data dal premier-segretario che non intende rinunciare di principio alle opportunità e al capitale simbolico che incarnano. Decidere insieme. Quindi non più corse solitarie di un candidato che comunque dovrà, prima del voto, mettere insieme una squadra «di livello» da presentare agli elettori. Malgrado la situazione,
TAROCCHI
Renzi ieri pomeriggio ha dato il via ad una strategia che punta di nuovo alla vittoria perché «abbiamo sempre vinto le battaglie che abbiamo ingaggiato». Alle possibili ritorsioni di Marino, che minaccia di tirar fuori dai suoi diari chissà quali rivelazioni, Renzi non è interessato. La faccenda degli scontrini dei ristoranti con i commensali ”taroccati”, è per il segretario del Pd ed ex sindaco, argomento più che sufficiente per cambiare passo ad un’amministrazione che «non è mai riuscita ad entrare in sintonia con la città». Non a caso in queste ore si ragiona non su un altro marziano ma su un romano o comunque su un candidato che possa vantare un radicamento nella Capitale.

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