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Pescara, 23/11/2024
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Data: 11/10/2015
Testata giornalistica: Il Centro
Intervista a Silvio Paolucci (*) - «Avremo sempre più vecchi e la sanità deve adeguarsi». Paolucci: il baricentro dell’assistenza va spostato dagli ospedali al territorio. Chi difende l’esistente non ha capito o fa una battaglia strumentale

PESCARA L’autunno sarà molto caldo per l’assessore alla Sanità Silvio Paolucci e in generale per la struttura commissariale abruzzese, guidata dal commissario ad acta Luciano D’Alfonso: siamo agli sgoccioli del commissariamento, c’è la discussione sulle risorse del Fondo Unico sanitario, si guarda con apprensione a eventuali tagli centrali. Nel frattempo Paolucci ha sul tavolo il Piano triennale di riqualificazione 2016-2018 che giovedì scorso ha discusso per tre ore in commissione regionale sanità e che martedì prossimo discuterà nel corso di un consiglio straordinario, chiesto da Forza Italia, che non si prevede tranquillo. Assessore, l’opposizione di centrodestra ha definito “molto deludente” la sua audizione in commissione sul nuovo piano sanitario. «Il piano è impegnativo e chiede a tutta la politica regionale un salto qualità, anche nel confronto tra maggioranza e opposizione». Che cosa dobbiamo aspettarci da questo piano sanitario? «Il piano ha un bersaglio preciso: spostare il baricentro dell’assistenza dagli ospedali al territorio, offrendo prestazioni adeguate a una domanda che cambia. Dobbiamo cioè avere più attenzione ai fragili, ai cronici, ai non autosufficienti e agli anziani, che nel giro di pochi anni passeranno in Abruzzo da 260 mila a circa 600 mila. Con questi numeri è evidente che se non interveniamo rischiamo di avere un’offerta squilibrata. Altro tema è rendere il sistema sanitario un diritto universale ma economicamente sostenibile. In questo caso il dato di partenza è il rapporto tra popolazione attiva e inattiva, che, se non cambiano le politiche demografiche, è destinato a invertirsi: oggi il rapporto è di 3,2 nel 2030 sarà 1,8». Le polemiche di queste settimane si concentrano molto sulla riorganizzazione della rete ospedaliera (polemiche che in realtà avevano toccato anche il precedente commissario). «Il piano è composto di più parti. Certo, la rete ospedaliera è quella che fa più titolo sui giornali e nella polemica politica, ma il primo pilastro del piano è la medicina del territorio: le cure domiciliari, la prevenzione, il ruolo dei distretti e dei medici e pediatri di libera scelta, la gestione dei pazienti cronici. Il decreto Lorenzin, che indica i criteri per la riorganizzazione delle rete ospedaliera, è solo una parte del problema, direi quasi minoritaria, se è vero che in futuro le risorse dovranno essere investite soprattutto nella rete territoriale. Quanto alla rete ospedaliera, il problema è diversificare per dare più servizi. Oggi invece si fa una battaglia molto spesso conservativa. Si difende l’esistente. Ma se c'è un grande limite nell’offerta ospedaliera attuale è che questa è fortemente frammentata e troppo uguale. In troppi fanno le stesse cose. La strada è invece quella di concentrare determinate prestazioni per elevare know-how, dare qualità e concentrare gli investimenti, per esempio in macchinari». Ma la polemica sugli ospedali resta centrale: l’accusano di essere troppo ligio alle prescrizioni del decreto Lorenzin. «Il decreto fu approvato nella conferenza stato-regioni nella legislatura di Chiodi e stabilisce una serie di adeguamenti da fare entro il 2016. E’ evidente che noi nella programmazione raccogliamo quelle indicazioni, come hanno fatto le altre regioni. Poi occorreranno dei provvedimenti attuativi. Ma su quel decreto non siamo affatto rigidi». Si spieghi «Il riordino della rete ospedaliera parte dall’esigenza di classificare presidi e strutture. Ci sono per esempio quelle che restano nel percorso di emergenza-urgenza e quelle che possono essere destinate a un’offerta di elezione (penso per esempio alla senologia o alla ginecologia oncologica di Ortona); ci sono poi le strutture destinate a un’offerta territoriale. A chi dice che il riordino spoglia la sanità dei territori, io ribatto che in realtà la maggior parte delle prestazioni sarà effettuata proprio nelle strutture territoriali». Può andare nello specifico? Si parla di accorpamenti, declassamenti... «Dentro la rete di emergenza-urgenza nel decreto Lorenzin si fa una divisione in ospedali di primo e secondo livello in base a numeri che sono stringenti: un presidio di base deve avere 20 mila accessi appropriati nel pronto soccorso; i presidi di primo livello (con prestazioni meno complesse, ndr.) 45mila accessi; il presidio di secondo livello (con prestazioni complesse per esempio cardiochirurgia, ndr.) 70 mila accessi appropriati. Ma io non parto da queste rigidità per classificare la rete ospedaliera abruzzese, altrimenti, se solo volessimo utilizzare il criterio dell’appropriatezza nei pronto soccorso...» E quanta ce n’è? «Tutti sanno che i numeri utilizzati sui pronto soccorso non vanno a tarare le inappropriatezze (ma questo è un problema di tutte le regioni). E il fatto di non utilizzare i numeri dell’inappropriatezza per classificare i presidi dice che stiamo andando molto oltre le cosiddette rigidità. Poi ci sono da considerare i bacini di utenza. E non dimentichiamo che si devono valutare i reparti in base ai volumi e agli esiti». E dunque? «Se applicassi rigidamente il decreto, potremmo avere 8 pronto soccorso». E non sarà così? «Al momento siamo a 12. In sintesi, oggi si possono immaginare 7 ospedali di primo livello. Di questi sette, certamente abbiamo 4 strutture provinciali che oggi svolgono in alcune parti anche funzioni di secondo livello. Poi abbiamo altre 3 strutture di primo livello, 4 ospedali di base e due di area disagiata». Due? Non c’era solo l’ospedale di Castel di Sangro? «L’altro potrebbe essere Penne per un problema legato alla mobilità. Poi c’è spazio per immaginare altri presidi con ruoli di elezione. E infine ci sono i territori dove abbiamo un fabbisogno di oltre 7mila posti letto nell’area anziani e demenze, disabilità e riabilitazione, mentre oggi ne copriamo a malapena la metà. Dunque già oggi abbiamo una domanda che è doppia rispetto all’offerta, figuriamoci nel futuro. Vuole un esempio? Riscontriamo un aumento esponenziale dei casi di Alzheimer e un’assistenza non adeguata. Nello stesso tempo continuiamo a essere difensivi nei confronti degli ospedali esistenti». Nel piano non c’è nessun ospedale di secondo livello, come notano i suoi oppositori. «Prendo l’impegno di studiare questo tema, ma attualmente non ci sono le condizioni, chi solleva il problema lo fa strumentalmente». La sanità che esce dal piano è ancora sostenibile per le famiglie? Penso per esempio al ticket o compartecipazione sulla riabilitazione. «Nella sanità territoriale sono soggetti a compartecipazione le prestazioni sociosanitarie e non quelle sanitarie che restano gratuite. La parte sociale è per ora coperta dal bilancio regionale». La copertura ci sarà anche nel 2016? «Assolutamente sì».

(*) Assessore alla Sanità e al Bilancio Regione Abruzzo

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