ROMA Per il governo la scelta di cancellare le tasse sulla casa, è prima di tutto politica: «La grandissima parte dei cittadini è proprietario di una casa acquistata con grandi sacrifici». Secondo: aumenta la fiducia, «perché gli italiani nell’ultimo anno hanno nascosto i soldi in banca» anziché farli girare nel circuito dei consumi. Tuttavia, dalla bacheca degli annunci del governo, da giugno in poi, proprio sulla casa sono scomparsi molti buoni propositi. «Stiamo lavorando alla local tax che entrerà in vigore l’anno prossimo, presumibilmente con la legge di stabilità» dichiarava il ministro Padoan il 26 maggio. La Local tax è il progetto di unificazione delle imposte immobiliari e dei servizi assegnata ai Comuni: per quest’anno nulla, neppure ci hanno provato. Andava ancorata a un altro provvedimento, promesso ormai da anni, la riforma del catasto. Anche di questo non se ne parla più, dimenticato nei cassetti: poteva essere invece un’operazione di vera equità sul patrimonio immobiliare. Per restare sul capitolo mattone, dalla cancellazione della Tasi restano fuori le cosiddette “seconde pertinenze”, e cioè cantine e garage per i quali l’Imu si continua a pagare. Sono circa 6 milioni, per i proprietari un esborso da 10 a 100 euro. Sintesi: si paga per un sottotetto ma non per la prima villa, palazzo storico o castello che sia. Qualche delusione per le misure a favore del Sud annunciate con l’impegnativo titolo di Master plan. Tra gli impegni specificati, quelli per le bonifiche dell’Ilva di Taranto e la Terra dei fuochi, in tutto 450 milioni. Il sottosegretario alla Presidenza del consiglio, Claudio De Vincenti, precisa però che altri investimenti arriveranno da Fondi europei e strutturali. Una torta da più di 11 miliardi di euro, «buona parte di questi, almeno il 60 per cento, vanno al Mezzogiorno, nel solo 2016». Alla voce pensioni si sa che manca tutta la parte della flessibilità in uscita, fatto salvo il contentino sul part time, condizionato a nuove entrate. Lasciata cadere così l’occasione per correggere gli aspetti più distorsivi della legge Fornero. Poteva magari essere finanziata con l’anticipo della digital tax, altra misura sparita dai radar. L’imposta per i colossi del web è stata promessa dal premier Renzi davanti alle telecamere, dal 2017. Garantirebbe un gettito tra i due e i tre miliardi all'anno, un’entrata strutturale che non sarebbe certo da buttar via. Proseguendo, alla voce spending review, arrivano altre note dolenti visto che la stanza dei risparmi di Palazzo Chigi è quella dove si sbatte la porta più frequentemente. Dopo quella clamorosa di Cottarelli, l’ultimo sforbiciatore a lasciare è stato pochi giorni fa il consigliere Roberto Perotti, dopo che la lista dei tagli si è fermata sotto la soglia dei 6 miliardi. «Confermo che nel 2016 porteremo una cifra di 10 miliardi di revisione di spesa, per togliere ogni dubbio» disse nel mese di giugno Yoram Gutgeld, consigliere economico di Renzi. E invece i dubbi sono tornati.