Prima di annunciare sul Corriere l’addio al Pd, Alfredo D’Attorre ha parlato con Bersani. E martedì, nell’auletta dei gruppi di Montecitorio, ha comunicato la sua sofferta decisione a Speranza, Cuperlo e agli altri colleghi della sinistra anti-renziana. Una riunione di corrente rimasta riservata, il cui umore prevalente è condensato nelle parole di Cecilia Guerra, già viceministro: «Maldipancia sulla legge di Stabilità ne abbiamo tutti, anche molto forti. Alcune scelte sono estranee al nostro credo di sinistra e faremo una battaglia senza sconti. Ma restando nel Pd». Lo strappo di un bersaniano di stretta osservanza come D’Attorre ha portato a galla il profondo malessere di tanti che, a sinistra, non si riconoscono nelle scelte di Renzi. L’idea della scissione di un’intera area torna a riaffacciarsi.
Per quanto Roberto Speranza assicuri che «non uscirà neanche con le cannonate». L’ex capogruppo a Renzi chiede «di non fare spallucce davanti alla sofferenza profonda che c’è nel nostro popolo» e rivela la fatica di spiegare sul territorio le ultime mosse da «Robin Hood al contrario», che ruba ai poveri per dare ai ricchi: «Togliere la tassa sulla casa ai miliardari è una enormità». E la scissione? «Non esiste. Dobbiamo batterci nel Pd». Tra i parlamentari che sondano il terreno fuori dal Pd e dialogano con Fassina, Civati e D’Attorre, gira un documento riservato sulla «deriva del Pd». Un testo che alcuni dissidenti interpretano quasi come un manifesto scissionista. Ma l’autore, l’onorevole Carlo Galli, non autorizza una lettura così estrema. Il professore di Storia delle dottrine politiche a Bologna lo ha inviato riservatamente ad alcuni parlamentari della sinistra dem per condividere alcune riflessioni sulla cultura di governo di Renzi, in rapporto con l’Europa a trazione tedesca. «Se voto la Stabilità? Vediamo cosa si porta a casa con gli emendamenti, perché così è molto brutta — risponde Galli —. Non è di sinistra e ci sono punti inaccettabili. Togliere la tassa sulla casa ai proprietari di castelli è una provocazione».
L’analisi di D’Attorre è largamente condivisa dai parlamentari che fanno capo a Speranza e Cuperlo, circa ottanta. Per loro «la Stabilità è di destra» e in diversi sono tentati di non votarla. «Uscire? Io sono già fuori» rivendica Corradino Mineo e ricorda di non aver mai preso la tessera: «La Stabilità è imbevibile». Ma la consapevolezza che Renzi non avrebbe più i numeri al Senato e la paura di dover poi uscire dal Pd senza un approdo, convinceranno i più a turarsi il naso. Certo, se l’alleanza con Verdini diventerà strutturale, la spaccatura sarà insanabile. Ma per ora la scelta è restare «con tutti e tre i piedi», come dice Bersani. La minoranza presenterà una proposta organica, quasi una controfinanziaria condivisa da «tutti coloro che non si sono consegnati a Renzi» (copyright Speranza). Cuperlo teme che il Pd diventi «un serpentone di centro». La Guerra lavora agli emendamenti: «Il problema è la filosofia, non puoi tagliare le tasse senza preoccuparti degli effetti di equità». Non c’è nulla contro l’evasione ed elevare il tetto per l’uso del contante avrà effetti sull’economia criminale: «Sembra la cura del cavallo di Berlusconi e Tremonti nel 2001. Che non funzionò». Anche Barbara Pollastrini chiede al leader di ascoltare «il campanello di allarme». Davide Zoggia, che pure si è sempre mosso in sintonia con D’Attorre, non lo seguirà: «È un amico, ma fuori non c’è uno spazio politico utile». Stefano Fassina abbraccia l’ultimo fuoriuscito: «Capisco l’amarezza sua e di tanti altri».