Iscriviti OnLine
 

Pescara, 24/11/2024
Visitatore n. 740.933



Data: 20/10/2015
Testata giornalistica: Il Messaggero
Manager inutili e sprechi così Atac affonda nei debiti. La municipalizzata romana conta il più alto rapporto tra dirigenti e dipendenti. Il 70 per cento dei ricambi finisce sui bus a discapito del settore metro-ferrovie.

In Atac ci sono più dirigenti che filobus: 59 manager contro 30 veicoli a trazione elettrica. La municipalizzata dei trasporti capitolini, partecipata al 100% dal Comune di Roma, cloaca per anni di assunzioni e clientelismi di ogni risma (vedi Parentopoli) annovera nel suo organico 59 dirigenti per gestire meno di 12mila dipendenti, 11.842. In pratica un manager ogni 200 lavoratori. Un record, se si prova a fare un paragone con le aziende che si occupano di Tpl nelle altre grandi città italiane. Qualche esempio? A Milano, nell’Atm, che gestisce 4 linee della metropolitana, 1.350 autobus e oltre 200 filobus, i dirigenti sono quasi la metà rispetto all’Atac: 33, per 9.379 lavoratori. Quindi un manager ogni 281 dipendenti, circa il 30% in meno rispetto all’azienda della Capitale. All’Anm di Napoli lavorano circa 3mila dipendenti. Anche in questo caso il paragone con Roma è impietoso: i manager sono 11, uno ogni 272 impiegati. Quasi un terzo in meno rispetto alla Città eterna.
I COSTI
Una differenza che pesa, sul bilancio di Atac, dove i costi dei dirigenti, nel 2015, superano i 7 milioni di euro: 6,1 milioni dritti in busta paga, più altri 1,27 milioni di bonus agganciati ai risultati. Totale: 7 milioni e 344 mila euro. Questo alla data dell’ultimo aggiornamento reso disponibile dall’azienda (5 ottobre 2015) e sfilando dall’elenco dei vertici Francesco Micheli, il super-manager chiamato cinque mesi fa da Marino a rivoluzionare l’azienda di via Prenestina e poi dimessosi a fine settembre dopo un duro braccio di ferro con l’assessore alla Mobilità, Stefano Esposito, legato all’appalto per l’acquisto di 400 nuovi bus.
7,2 mln
il costo degli stipendi
dei dirigenti
in organico
alla municipalizzata
E pensare che sotto la gestione del management attuale (ad Danilo Broggi, presidente Roberto Grappelli), in carica dal luglio 2013, le poltrone dei dirigenti sono state sforbiciate di oltre il 25%, passando dagli 80 dirigenti del 2013 ai 59 del 2015 (e altri 4-5 dovrebbero essere in uscita entro la fine dell’anno). Ma ne restano ancora tanti, con stipendi in busta paga che, in alcuni casi, tra salario e bonus, arrivano a quota 240mila euro.
Alcuni poi, con stipendi a 6 cifre, lavorano part-time. È il caso di Pietro Spirito, arruolato alla Direzione Internalizzazione e Incorporazione. Secondo l’assessore ai Trasporti, Stefano Esposito, si presenterebbe in ufficio a Roma «un giorno a settimana» (ad Atac dicono 3), il resto invece lo trascorrerebbe a 300 chilometri dal Raccordo anulare: a Bologna, dove ricopre il delicato incarico di presidente dell’Interporto, una delle piattaforme logistiche e intermodali più grandi d’Europa, estesa su una superficie di oltre 4 milioni di metri quadri. Un impegno complesso e articolato, che sembra difficile conciliare con l’incarico in Atac. Di sicuro a motivarlo ci sono i 100mila euro che gli garantisce la partecipata dal Campidoglio. Esposito ieri ha messo nel mirino altri due manager (che lo avevano attaccato su Facebook) definendoli «strapagati e inadeguati». Uno è Emilio Cera, stipendio di circa 150mila euro l'anno, premi compresi. «È responsabile della parte informatica della bigliettazione - ha detto l’assessore ai Trasporti - Dio ce ne scampi e liberi. Poi c'è il responsabile delle relazioni industriali, indagato per la Parentopoli di Atac, di cui non ricordo il nome (attualmente l'incarico è ricoperto da Luca Masciola, stipendio 205mila euro l'anno) - ha continuato Esposito - Io non voglio che venga licenziato perché sono un garantista, ma magari messo in un altro posto». Secondo il senatore Pd, molti dirigenti «sono lì senza aver fatto un concorso, molti ereditati dalla precedente amministrazione, mai cambiati».
DIETRO LA SCRIVANIA
Oltre il 65% dei manager poi non si occupa di bus, metro e tram: è impegnato infatti nei servizi di “corporate”: contratti, acquisti, affari legali, programmi di sicurezza, progetti ingegneristici. A gestire concretamente la mobilità è solo il 30% dei dirigenti. E in questa gestione, un occhio di riguardo vene destinato al settore di superficie, a discapito di metro e ferrovie. Forse allora non è un caso se circa il 70% dei pezzi di ricambio che vengono acquistati da Atac (30 milioni l’anno) finisca sugli autobus, mentre solo il 30% riguarda i treni di metropolitana e ferrovie urbane.
Sono proprio queste commesse ad essere finite nel mirino dall’Authority Anticorruzione guidata da Raffaele Cantone, che ha scandagliato oltre 2 miliardi di commesse erogate dalla municipalizzata negli ultimi 5 anni, quasi tutti a trattativa privata.
POCHI BANDI
Atac viaggia a una media di 2.500 affidamenti l’anno. Di questi meno del 15% viene bandito attraverso una gara aperta. Se è vero, come hanno ricordato i vertici dell’azienda subito dopo i rilievi dell’Anac, che solo circa l’1% degli appalti viene assegnato per affidamento diretto (circa una trentina) è altrettanto vero che quelli che vengono realizzati “a chiamata diretta” sono la stragrande maggioranza: oltre 2mila sui 2.500 totali. Grazie a questa procedura, spiegano in Atac, è possibile accorciare i tempi e riparare il prima possibile i mezzi guasti.
15%
gli appalti
affidati da Atac
attraverso un bando
di gara aperto
Ogni giorno però restano nelle rimesse oltre 800 bus su un parco mezzi complessivo di 2.300 vetture. Il motivo è semplice, mancano i soldi. Dal 2009 in poi i bilanci di via Prenestina sono in profondo rosso, con il punto più basso nel 2011: -179 milioni. Il cda in carica ha un merito, quello di avere provato a rimettere in sesto i conti, riducendo il passivo che nel bilancio 2014 è sceso a quota 140 milioni. Ma per evitare che l’azienda dei trasporti arrivi al capolinea, la strada da fare è ancora lunga.

www.filtabruzzo.it ~ cgil@filtabruzzo.it