ROMA Scalini, scaloni, requisiti che si alzano e finestre che si chiudono: con il cantiere previdenza sempre in movimento, i lavoratori non si fidano più e così chi ha potuto andare in pensione non se l’è fatto ripetere due volte. Risultato: mentre governo e Parlamento continuano a dibattere - senza trovare una soluzione - della possibilità di reintrodurre elementi di flessibilità in uscita, nei primi 9 mesi di quest’anno le nuove pensioni anticipate/anzianità sono letteralmente schizzate: da 39.204 dello stesso periodo del 2014 sono passate a 73.408 (+87%) tra i lavoratori dipendenti, che diventano 109.000 con gli autonomi e i parasubodinati. È l’effetto legge Fornero, che per due anni ha bloccato molte uscite con l’innalzamento dei requisiti (42 anni e 6 mesi per gli uomini, 41 e 6 mesi per le donne). Ma è anche l’effetto “non si sa mai”, dovesse cambiare ancora una volta (se non l’età, magari il calcolo dell’assegno) per cui il certo ora diventa vago domani. Di sicuro la scelta del governo di non affrontare una volta per tutte, «definitivamente e strutturalmente» l’argomento pensioni nella legge di Stabilità, non è piaciuto al presidente dell’Istituto. Tito Boeri ha colto l’occasione della presentazione del Rapporto sociale Inps 2014 per sottolineare il suo dissenso: «Avremmo voluto che il 2015 fosse l’anno dell’ultima riforma della previdenza, ma così non sarà». Il governo - ricorda - ha optato nella Legge di Stabilità per «interventi selettivi e parziali» per ridurre i costi (part time per chi raggiunge i requisiti per la vecchiaia, opzione donna, nuova salvaguardia esodati). Ma queste misure - continua Boeri - «creano asimmetrie di trattamento». E così «in assenza di correttivi», il rischio è che possano dare una «spinta a ulteriori misure parziali, molte costose». A questo punto Boeri auspica che «il 2016 sia l’anno di un intervento organico, strutturato e definitivo sulle pensioni. Un intervento che contenga forme di flessibilità» estese anche al pubblico, «settore che ha bisogno di una rotazione e del personale».
ASSEGNI MAGRI
Vivere di pensione resta difficile per quasi la metà della platea: su 15,57 milioni di persone che nel 2014 hanno ricevuto un assegno previdenziale, 6,5 milioni (il 42,5%) se la sono dovuta cavare con meno di mille euro al mese. Tra questi un milione e 880.000 persone hanno dovuto fare letteralmente i salti mortali, visto che la pensione non arrivava neanche a 500 euro. È un dato enorme anche se in diminuzione rispetto agli anni precedenti: nel 2013 a ricevere assegni sotto i mille euro erano infatti 6,8 milioni di persone (7,2 nel 2012), mentre sotto i 500 euro erano in due milioni e centomila.
Complessivamente nel 2014 l’Inps ha speso 268,817 miliardi per le pensioni, oltre uno e mezzo in più (1,679 miliardi, +0,6%) rispetto al 2013. In totale i trattamenti erogati sono stati 20 milioni e 920.255, tra cui 17.188.629 pensioni previdenziali (invalidità, vecchiaia e superstiti) e 3 milioni e 731.626 assistenziali (assegni sociali e trasferimenti agli invalidi civili) che hanno inciso sulla spesa totale per poco più di 25 miliardi. Nel solo 2014 sono stati erogati 560.000 nuovi trattamenti previdenziali, il 6,2% in meno su base annua. Si riduce (-5,1%) anche la spesa complessiva annua. A livello di conti dell’istituto il 2014 ha fatto registrare un risultato di esercizio negativo per -12,48 miliardi, in lieve miglioramento rispetto al -12,8 miliardi del 2013.