Note spese, il sindaco: «Non sono indagato, mai usato soldi pubblici per me. Ho sempre 20 giorni per pensare».
ROMA Per i titoli di coda bisognerà aspettare ancora un po’, perché la sceneggiatura di Ignazio Marino non prevede tempi morti. Con l’inquilino del Campidoglio che avverte - «Ho tempo fino al 2 novembre per riflettere sulle mie dimissioni» - e il Pd che frena: «È finita, indietro non si torna». Ieri l’ennesimo colpo di scena della soap opera in salsa capitolina: dopo una notte passata a decidere se presentarsi o no in tribunale, per costituirsi parte civile nel primo processo legato all’inchiesta Mafia Capitale, il sindaco dimissionario convoca una conferenza stampa ad horas, per lanciare due messaggi. Il primo riguarda l’inchiesta sugli scontrini: il chirurgo dem sembra rinfrancato dalle quasi cinque ore passate in Procura lunedì sera, ed è convinto di non aver nulla da temere dal fascicolo aperto a piazzale Clodio. «Mi sono dimesso perché ho estremo rispetto per l’autorità giudiziaria alla quale volevo presentarmi da dimissionario e per spiegare i fatti contenuti negli esposti presentati da M5s e Fdi che sono vergognosi e in malafede», esordisce davanti ai cronisti, accompagnato dal suo legale, il professor Enzo Musco. «Non ho mai utilizzato denaro pubblico a scopo privato, casomai il contrario - sottolinea Marino - Quest’estate, a New York, ho pagato di tasca mia». Gli scontrini «venivano registrati in Campidoglio dopo molto tempo - spiega l’avvocato - Chi li ha firmati non ha commesso alcun falso perché si tratta di una prassi burocratica che si segue da tanto tempo».
LE OPZIONI
A far balzare verso l’alto il barometro della politica romana è, però, una frase scandita per ben tre volte, prima di chiudere l’incontro con la stampa: «Ho firmato la mia lettera di dimissioni prendendomi venti giorni per fare le opportune riflessioni e verifiche». L’affermazione fa subito pensare a un possibile ripensamento del sindaco, che ai suoi più stretti collaboratori ha ribadito anche ieri: «Voglio che sia chiaro a tutti che vado via per una precisa scelta del Pd, non per gli scontrini». Il braccio ambidestro Roberto Tricarico, l’unico vero consigliere in questa fase, è per la linea à la guerre comme à la guerre. Alessandra Cattoi, l’assessore amica e fedelissima, è per un’altra linea, quella realista: «Ignazio, è finita, è giusto che tu dimostri al mondo di uscire pulito da questa vicenda, ma basta con le prove di forza». Intanto, tanti assessori del suo stretto giro hanno iniziato a mandare messaggi inequivocabili. Da Alfonso Sabella a Maurizio Pucci: «Inutile andare avanti con colpi di coda: il gong è suonato». Per non parlare dei parlamentari prestati alla giunta, Marco Causi e Stefano Esposito. Marino, che ascolta tutti e alterna fasi barricadere a pillole di ragionevolezza, vorrebbe due cose: un incontro con Orfini, «perché è il commissario del Pd di Roma, che ho contribuito a rilanciare dopo Mafia Capitale»; e soprattutto un faccia a faccia con Matteo Renzi, «il presidente del consiglio e segretario del mio partito, che ho contributo a fondare». In queste ore c’è chi lavora, come Causi ed Esposito, per realizzare almeno uno dei due desiderata. Altrimenti? «Vediamo come va la manifestazione di domenica in Campidoglio». Sarà un altro evento a forte tasso mediatico. Per la seconda volta scenderà in piazza «l’esercito di Ignazio», uomini e donne del Pd. La base. E quindi i circoli «buoni» scampati a Mafia Capitale. Un alleato prezioso che continua a crescere (su Facebook il gruppo ufficiale conta oltre 11 mila adesioni). Chi non pensa di tornare indietro sono i consiglieri comunali del Pd, ieri convocati da Orfini. Che ha ribadito la linea: «Non si torna indietro, l’esperienza è finita». Con una postilla per i consiglieri comunali, che tecnicamente hanno in mano il destino di questa amministrazione: «Guardiamo avanti, pensiamo a scrivere il programma e poi chi vorrà sarà ricandidato». Un messaggio chiaro per convincere anche quella parte di dem che teme “l’effetto Zingaretti”: dopo le dimissioni della governatrice Polverini il Pd (per i rimborsi) non candidò nemmeno uno dei consiglieri regionali uscenti. Ecco perché la rassicurazioni di Orfini e l’insistenza di Marino a provocare, a vedere «l’effetto che fa», a spingere il Pd a farlo fuori non per gli scontrini ma per motivi meno nobili. «Mi devono cacciare», è il ritornello del sindaco quando si spegne di nuovo la luce.
Renzi: ora dimissioni e basta. E lavora al pool di commissari. Il premier vede Alfano ed esclude ripensamenti del Pd: si volta pagina. Frattasi in pole, Rettighieri verso i trasporti Per le nomine si aspetta fino al 2 novembre.
IL RETROSCENA
ROMA «Vicenda archiviata». Il balletto del sindaco Ignazio Marino, che un giorno si dimette ed un altro annuncia che potrebbe ripensarci, non impressiona più di tanto Matteo Renzi che considera chiusa la stagione del ”marziano”. Al netto delle possibili sorprese più o meno temute e attese, a palazzo Chigi si continua a lavorare per comporre il ”dream team” che dovrebbe rimettere in sesto la città in vista del Giubileo.
TRATTATIVA
Sulla linea che considera chiusa l’esperienza di Marino in Campidoglio, il segretario del Pd ha ieri schierato ancora una volta tutto il partito romano con la riunione dei consiglieri comunali del Pd con il commissario Matteo Orfini. Un faccia a faccia tra assessori e consiglieri uscenti servito ad alzare ancor più il muro che divide da tempo il Nazareno dal Campidoglio. Se poi aveva il senso di una volontà di trattativa - l’annuncio del sindaco di volere usare il tempo che la legge gli consente per «riflettere sulle sue dimissioni» e verificare «l'esistenza di una maggioranza in consiglio comunale» - la risposta è stata secca: dimissioni e basta. Niente onore delle armi, quindi, come sembra invece cercare il sindaco uscente.
Per il Pd di Renzi nessun fatto giustifica un ripensamento. La verifica politica che ha portato Marino alle dimissioni c’è e le dichiarazioni spontanee rese da Marino in Procura sulla vicenda degli scontrini non aggiungono o levano nulla ad una decisione «politica» che nei giorni scorsi Renzi ha riassunto con un lapidario «si è rotto il rapporto tra sindaco e Roma».
BALUARDO
D’altra parte a palazzo Chigi nei mesi scorsi si era anche ragionato su un possibile futuro politico di Marino, ma la tenacia e la serie di errori commessi dal primo cittadino romano hanno convinto Renzi che si era di fronte ad un interlocutore molto difficile e troppo convinto delle proprie potenzialità. La vicenda delle note spese, non fatte o fatte male, rappresenta quindi solo l’epilogo di un rapporto nato male con la città. A questa conclusioni sembra essere giunto anche il partito di Sel che negli ultimi giorni è sembrato ergersi a baluardo dell’esperimento-Marino. La mano tesa di Renzi al partito di Vendola, con la promessa delle primarie e dell’alleanza in vista del voto di primavera, hanno ancor più isolato Marino. «Non è più tempo di giocare con la città - spiega Paolo Cento, segretario romano di Sel - Marino la smetta con un finto tira e molla che danneggia solo Roma».
Se la ”faccenda” dell’Anno Santo è da tempo affidata al commissario e prefetto Franco Gabrielli, per la nomina del commissario che guiderà la città dopo Marino si dovrà quindi attendere che trascorrino tutti i venti giorni previsti dalla legge. Se non ci saranno ripensamenti da parte di Marino solo dopo il 2 novembre il governo potrà nominare - a seguito di proposta del ministro Angelino Alfano - il commissario che porterà la città alle urne. Nomi ne circolano molti anche se il più accreditato è quello del prefetto Franco Frattasi. In stand by anche la composizione della squadra di subcommissari ai quali verranno affidate le deleghe ora in mano agli assessori. A Marco Rettighieri, dirigente delle Ferrovie dello Stato e direttore dell’Expo, potrebbe toccare il compito di occuparsi dei trasporti urbani.