L’AQUILA «L’amministrazione comunale si sta infilando di nuovo in un vicolo cieco, che non potrà che portare al totale immobilismo e alla perdita di ingenti finanziamenti». A lanciare l’allarme, dopo l’annuncio della proroga a marzo 2016 della scadenza dell’avviso pubblico sulla privatizzazione del Centro turistico del Gran Sasso, è Bruno Petriccione, ecologo, membro del comitato scientifico del Wwf Italia e referente per l’ambiente del Touring Club Italia. «Dov’è finita tutta la fretta accampata dal sindaco Cialente fino a pochi mesi fa?», si chiede Petriccione. «Si vogliono perdere altri cinque mesi, per avviare un piano complessivo di investimenti sul Gran Sasso che mobiliterebbe la ragguardevole cifra di 52 milioni di euro?». Secondo Petriccione, «i nuovi interventi di infrastrutturazione sciistica proposti – nuova seggiovia delle Fontari, nuovi impianti della Fossa di Paganica e Monte Cristo – sono vietati dalla normativa europea e nazionale. L’autorizzazione per la nuova seggiovia delle Fontari è di competenza del Comitato Regionale Via, non del ministero dell’Ambiente. È vero che il parere espresso dal consiglio direttivo del Parco nazionale del Gran Sasso-Monti della Laga alla fine del mese di maggio scorso è stato sospeso dal ministero, a causa della sua palese incongruenza con le conclusioni dell’istruttoria del servizio scientifico del Parco stesso, ma si tratta di un parere sì obbligatorio, ma non vincolante per il Comitato Via, che lo ha comunque ricevuto e può, quindi, valutarlo nella sostanza. E il comitato non potrà ignorare la montagna di argomentazioni scientifiche fornite dal servizio scientifico del Parco, dichiarando senza ombra di dubbio l’incompatibilità ambientale del progetto». In merito alla questione della ridefinizione di Sic (Siti di interesse comunitario) e Zps (Zone di protezione speciale), Petriccione sostiene che «i loro confini potrebbero essere cambiati solo se la Commissione Europea accettasse una proposta in tal senso del ministero dell’Ambiente, al quale dovrebbe essere sottoposta dalle amministrazioni regionali competenti (che sono ben tre, Abruzzo, Lazio e Marche, perché la Zps è estesa su tutte e tre le regioni). Quindi, la procedura sarebbe lunga e farraginosa e, soprattutto, con poche possibilità di successo, considerato che nelle aree che si vorrebbero stralciare sono presenti habitat e specie prioritarie di grande importanza a livello europeo, proprio quelli per i quali sono state istituite le aree Natura 2000». Portando anche altre argomentazioni, l’ecologo conclude che «per non disperdere le preziose risorse finanziarie a disposizione, occorre invece cambiare politica, qui e subito, mutando profondamente l’articolazione del piano d’investimenti sul Gran Sasso».