Il primo cittadino viene definito dall’indagato al telefono come l’«asso nella manica» per potersi tirare fuori dalle accuse.
Pierluigi Tancredi era pronto a tutto: anche di rischiare di andare in galera «pur di dire la verità» e a «far cascare l’amministrazione». E il primo cittadino Cialente era l’«asso nella manica» per essere discolpato nell’ambito dell’inchiesta Do ut Des per la quale l’ex consigliere comunale di Forza Italia, era finito ai domiciliari nel gennaio del 2014 per presunte tangenti in relazione agli appalti per la messa in sicurezza degli edifici danneggiati dal sisma. E’ quanto rivelano le indagini dei carabinieri nell’ambito dell’inchiesta “Redde Rationem”, sempre su presunte mazzette legate ai lavori di puntellamento. Un lavoro certosino che di fatto va a legare le due inchieste. Il trait d’union, dicono le carte ora in possesso degli avvocati dei 16 indagati nell’ambito dell’ultima operazione, è appunto Tancredi, il quale non sa di essere intercettato a partire dal giorno stesso dei domiciliari, a fine luglio scorso.
«DI’ LA VERITA’»
Al telefono Pierluigi Tancredi (che è assistito dagli avvocati Dionisio e Milo) parla pur non potendolo fare, con uno stretto familiare. I due commentano del come i media hanno riferito dell’indagine, compresi i commenti di area politica. «Si è superato il limite della sopportazione- dice il parente, non indagato, a Tancredi- non va bene così, fregatene. Cioè voglio dire prendila di petto. Di’ la tua verità, rischia pure di andartene alle Costarelle, non fare come lo struzzo». A far “sbottare” Tancredi e il suo familiare, l’essere passato nell’inchiesta «come un mafioso». «Se devi pagare per quello che hai commesso- prosegue il parente- devi pagare, ma non puoi pagare un prezzo così alto... è troppo quello che sta succedendo è troppo è troppo infamante». «Io voglio, voglio soltanto a questo punto incomincio a dire. Mi diranno perché non l’ho detto finora. Non l’ho detto perché non volevo fare cascare l’amministrazione comunale e perché me li devo riservare come testimoni Cialente e Pierpaolo Pietrucci (ex capo di gabinetto del sindaco e attuale consigliere regionale, ndr). L’ho detta, l’ho riferita al mio avvocato che lo sapeva. E mo’ lo vedessero loro com’è che Pietrucci sapeva queste cose e soprattutto perché stava così. Stavolta scrocchio a quattro mani».